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tarne una più grande. Voglio parlare di Roma e di Venezia: esse non caddero nel 48, ma bensì nel 49; ed in esse l’Italia diede per quella volta almeno gli ultimi aneliti di vita civile e libera.

Anche Brescia, lasciata in balìa del suo municipio, che è quanto dire di sè stessa, chiuse le sue porte agli Austriaci, armò tutti i suoi cittadini, senza eccezione di sesso o di età, e si preparò ad una eroica ma disperata resistenza. Per ben tre giorni gli Austriaci irrompevano dalle porte nelle strade della città, ed appena impegnati in queste le ingombravano dei loro cadaveri, da tutte le case, da tutte le finestre, dai tetti rovinando su di loro micidiali proiettili d’ogni sorta.

Ma Brescia dovette cessare dalla pugna quando non ebbe più munizioni con cui tenere a distanza il nemico, e quando non ebbe più difensori che non grondassero del proprio sangue.

Gli Italiani diedero cospicua prova di animo valoroso e divoto alla patria; ma ciò non basta a costituire ed a fondare una nazione. — I Polacchi furono sempre ammirati pel singolare loro valore, ma non col solo valor militare si acquista un seggio fra le nazioni civili, libere ed indipendenti; e la storia del popolo polacco basterebbe a convincerne di ciò quando noi fossimo già a sufficienza.

Per undici anni ancora gli Italiani furono trattati come gli Iloti dell’antichità. — Derisa e non curata dall’Europa, martoriata, oppressa, straziata, e munta da’ suoi padroni, l’Italia sembrava oramai condannata ad eterna ed ignominiosa servitù; e gli stranieri così opinavano — Deve esservi, dicevano essi, qualche nascosto difetto, qualche pecca originale nel carattere degli Italiani; poichè ogni loro sforzo per diventare indipendenti e per ricostituirsi in nazione riesce vano; e sappiamo oggidì che non si cade se non perchè si difetta della forza necessaria per reggersi. È inutile tentar nuove prove, soggiungevano talvolta, e dovete rassegnarvi ad uno stato di cose ch’è evidentemente il solo cui siate propri.

L’Italia sola non aveva accettata la crudele sentenza; e protestava contro di essa con parole e con atti ogni qual volta le se ne presentava la opportunità. In quelli undici anni l’odio dell’oppresso per l’oppressore, e viceversa, giunse all’apice della violenza. Ma se a ciò si fossero limitati i nostri progressi, saremmo tuttora schiavi. Un genio benefico sorse presso ad un principe veramente liberale e patriota, nel tempo stesso che un amico d’Italia saliva al supremo po-