Pagina:Otello - La tempesta - Arminio e Dorotea, Maffei, 1869.djvu/279

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atto primo. - sc.iii. 265

                       calibano.
Il più tristo vapor che mai scopasse
Da putrido padul la madre mia
Con penne ai corbi dispiccate, inaffi
Voi due! Voi due l’infetto alito ammorbi
Dell’aria sciroccale, e di rodenti
Ulceri copra.

                       prospero.
                     Per l’augurio tuo
N’avrai, stanne sicuro, in questa notte
Granchi alle coscie e trafitture al fianco,
Da strozzarti il respiro; e fin che l’alba
Sorga, dovran gli Spirti, a cui l’incarco
Spetti, su te, ribaldo, affaticarsi.
Coi pungiglioni delle pecchie, fitti
Più che i fori dell’arnïe, le carni
Strazïar ti dovràn.

                       calibano.
                                   Dammi il mio pasto
Meridïano! ― L’isola che usurpi
È casa mia: da Sicorace io l’ebbi
Che mi fu madre, e tu me l’hai rapita.
Bene al primo tuo giungervi blandito
M’hai tu, trattato con amor; mi davi
Méscite infuse di soavi bacche.
E dei piccoli lumi e dei maggiori
Che splendono nel giorno e nella notte,
Seppi i nomi da te. Per ciò ti amava,
Per ciò di questo suol le occulte doti
Mostrandoti io venia, le amare e dolci