Pagina:Otello - La tempesta - Arminio e Dorotea, Maffei, 1869.djvu/318

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304 la tempesta.

Nel mio nudo calcagno; ed ora in forma
Di serpi che si avvinghiano al mio corpo,
Ed un sibilo tal colle forcute
Lingue attorno mi fan che ne impazzisco.
                     (Entra Trinculo.)
Oimè! che cosa è quella? Ecco uno spirto
Che viemmi a tribolar perchè vo lento
Col mio fascio di legna. Al suol boccone
Stender mi vo’. Così forse dagli occhi
Potrò sfuggirgli.

                       trinculo.
                       Un albero, un cespuglio,
Ov’io mi possa riparar, non veggo;
E si va raccozzando una seconda
Bufera; urlar nell’aere io già la sento.
Laggiù quel nugolon m’ha la sembianza
D’una grande botte, che versar dal ventre
Voglia quanto di vino in sè racchiude.
Non so come potrei da tal rovescio
Difendere il mio capo, e già minaccia
Piovere a catinelle il tenebroso
Nuvolon.
                      (Vede Calibano.)
               Ma che veggo? Un uomo o un pesce?
È vivo o morto?... Un pesce egli è; m’ha puzzo
Di pesce infracidito e, come pare,
Di merluzzo stantìo. Bizzarro pesce!
Se tornando in Bretagna io ne mostrassi
La immagine dipinta, ogni monello
Di quei che le domeniche per via