Pagina:Otello - La tempesta - Arminio e Dorotea, Maffei, 1869.djvu/342

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328 la tempesta.

Getta i suoi libri. Ha pur di begli arredi
(Così li appella) ed azzimar la casa,
Pur che l’abbia, ne vuol. Ma ciò che gli occhi
Più rapisce, innamora, è la stragrande
Beltà della sua figlia. Il padre istesso
Senza pari la dice. Io mai non vidi
Del sesso femminil fuor che mia madre,
Sicorace, e costei; ma quanto al basso
L’alto sovrasta, la fanciulla avanza
La mia madre in beltà.

                       stefano.
                              Da ver? Quella fanciulla
Bella è così?

                       calibano.
                    Così; te lo assecuro.
Del tuo talamo è degna, e vaga prole
Ti porterà.

                       stefano.
                  Torrò quell’uom di vita,
Me poi re di quest’isola, e reina
Farò la figlia sua (che Dio protegga
Le nostre Maestà!); voi finalmente,
Voi due, miei vicerè. ― Come ritrovi,
Trinculo, il mio pensier?

                       trinculo.
                                   Miracoloso.

                       stefano.
Porgimi la tua mano. Assai mi duole
D’averti offeso, ma tener la lingua
Stùdiati in avvenir.