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70 parte prima


Da se formano gli ornamenti di cuoio e di gusci d’ostriche, spezzettati, in forma di una pretesa eleganza più o meno grossolana; una specie di braccialetto di cuoio lo tengono da giovanette, finchè lo regalano, si dice, al primo raccoglitore di loro carezze. Le camicie le fanno di spago, a maglia doppia, fitta fitta, ma elastica; paiono cotte; son senza maniche, sono adornate variamente di pezzetti di gusci d’ostrica e servono soprattutto nei combattimenti e contro le spine dei boschi; di queste camice ne hanno poche.

Altri ornamenti sono di piume, soprattutto di struzzo; ne adornano la fronte, la vita, le spalle, i polsi e le noci dei piedi. Tali ornamenti li adoperano specialmente gli uomini nelle battaglie, nelle feste e quando curano gli ammalati come vi dirò.

Da sè fanno anche alcuni tessuti di lana tratta dalle poche pecore che posseggono, e disposta con i colori naturali in forme regolari o di striscie o di quadrati. Disegno d’ornato non ne sanno.

Per tessere, piantano quattro picchetti a quattro angoli, vi attraversano dei pali su cui stirano i fili della orditura, e riempiono questa coll’aiuto di una stecca di un palmo, colla quale pure comprimono la trama; non conoscono la spola.

Chiamano potzin il tessere, noccalei il telaio e huolei i fili. Queste parole, che non hanno alcuna affinità con altre parole castigliane, ci assicurano che tale arte ha avuto origine fra loro.

Non perchè si debba affidarci troppo alla somiglianza o no delle parole per emettere giudizi di tal genere, poichè già dissi, come i Mattacchi cerchino sempre di non includere parole straniere per esprimere cose nuove, ma adattarvi altre loro con qualche modificazione; ma perchè qui non siamo nel caso di uno di cotesti artifizii. Altro motivo di equivocarsi potrebbe essere in alcune parole la impossibilità in essi di pronunziarle a nostro modo, e l’uso di darvi inoltre la forma propria alla indole della loro lingua.