Vai al contenuto

Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/107

Da Wikisource.

E più di venen piena assai, ch’ un’ angue,

    Prendendo in man la sanguinosa testa,
    E macchiando se stessa del suo sangue,
    Per l’aria la gittò veloce, e presta.
    Prendete (disse à l’altre) il corpo essangue,
    Smembrate voi la parte, che ci resta,
    Diamo anco al corpo morto il suo supplicio,
    Poi satisfatte andremo al sacro officio.

Ecco in un tratto quel corpo smembrarsi

    Come la madre in molte parti chiede.
    I membri van per l’aria à volo sparsi,
    Qual si gitta à l’ insù, qual cade, e riede.
    Così le foglie allhor veggon volarsi,
    Che ’l crudele aquilon gli arbori fiede,
    Quando il Sol lo Scorpion cavalca, e doma,
    E toglie à lor la non più verde chioma.

Ahi crudel madre, ahi quando mai s’udio

    Lo stratio, e ’l mal, che del tuo figlio fai?
    Tu sai pur, ch’egli del tuo ventre uscio,
    Tu quella sei, che generato l’ hai.
    S’à l’altre un figlio muor, sia buono, ò rio,
    Non posson rasciugar gli humidi rai;
    Tu di tua man l’hai morto, e non sei satia,
    Se non si smembra anchor, lacera, e stratia.

Se noi cercando andremo in tutti i tempi,

    In ogni legge, in ogni regione,
    Troverem mille, e mille crudi essempi
    Contra chi scherne la religione.
    E non sol contra lor sdegnati, et empi
    Han mosso i cor de le strane persone,
    Ma i cor di quelle han contra loro accesi,
    Che gli han portati in corpo nove mesi.

Hor tutti gli altri cauti, et ammoniti

    Da l’aspra morte del profano, et empio
    Seguendo i sacri, e non usati riti,
    Quel Dio tolgono al carro, e ’l danno al tempio,
    E gli huomini più degni, e riveriti,
    I primi fur per dare à gli altri essempio,
    Che l’adoraro in quei seggi eminenti,
    Dove l’havean locato i suoi serventi.

E gli altri anchor servando il grado loro

    Come commanda il sacerdote santo,
    Con pompa, cerimonia, e con decoro
    Ne l’adorar quel Dio fanno altrettanto.
    Danno al Divino altare, e al nobil choro
    Mirra, et incenso, con gran plauso, e canto,
    E celebran l’officio santo, e pio
    Al lor Theban riconosciuto Dio.

Poi ch’al divin officio il fin fu posto,

    E fatto à Bacco ogni opportuno honore,
    Come dal sacerdote lor fu imposto,
    Tornar le donne al solito romore,
    Et in honor de l’ inventor del mosto
    Mostrano il muliebre lor furore,
    E da loro ogni nome gli fu detto,
    Ch’à lui si dà per più d’un degno effetto.

Altri l’appella Bromio, altri Lieo,

    Questa Bimatre il chiama, e quella Bacco,
    Chi Niseo, chi Nittelio, e chi Tioneo,
    Altri Eleleo, altri Evante, et altri Iacco.
    Lo nomano anchor Libero, e Leneo,
    E paion tutte uscite di Baldacco,
    Tanto si mostra in quella allegra festa
    Sfacciata ciascheduna, e dishonesta.

Di Libero ogni fatto eccelso, e degno,

    Che facesse già mai cantar si sente,
    Com’egli con la forza, e con l’ ingegno
    Ha soggiogato tutto l’Oriente,
    E come al Re di Tracia ingiusto, e indegno
    Licurgo bipennifero, e insolente,
    Ch’osò tagliar le viti, fece, ch’ambe
    Tagliò à se stesso l’ infelici gambe.

Che gioventù perpetua à lui mantiene

    Di vergine un giocondo, e grato viso,
    Il qual come prometta ò ’l male ò ’l bene,
    Hor ne dà con le corna, hor senza, aviso.
    E ciò, che lor ne l’ebre menti viene,
    Cantan con plauso, e con tumulto, e riso:
    E innanzi al cibo, e dopo, e nel ritorno,
    Non si fece altro mai tutto quel giorno.

</poem>