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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/204

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Dove giunto il destrier non fa nov’orma,
     Che ’l salto, e ’l corvettar gli vien conteso
     Ma tien, secondo il cavalier l’informa,
     Dinanzi il destro piede alto sospeso.
     E con questa al caval non nova forma
     Sostien sopra tre piè tutto il suo peso.
     Poi piace al cavalier, che muti stato,
     Et alza il primo piè del manco lato.

Mentre la gamba manca egli tien’ alta,
     Fà danzarlo à man destra senza un piede,
     Poi secondo la verga, e ’l piè l’assalta,
     Posar la destra, e l’altra alzar si vede,
     E pian pian da man destra danza, e salta,
     E fa ciò, che lo sprone, e la man chiede.
     Al fin il cavalier ferma il suo gioco,
     E cede al quarto atteggiatore il loco.

Ismeno di più tempo, e più sicuro,
     E di più nervo, e ’n quel mestier più saggio,
     Ne vien montato sopra un baio oscuro,
     Per dare in quel maneggio il quarto saggio.
     I due Partenopei parenti furo,
     Che forte, e di magnanimo coraggio
     Formaro à quel corsier la spoglia, e l’alma,
     Ch’in prova hor vien per riportar la palma.

In questo mezzo à la lotta sfidati
     S’eran Fedimo, e Tantalo gemelli,
     Et eran sù due barbari montati,
     Ch’al mondo non fur mai visti i più belli:
     E con le mani essendosi afferrati
     Pungono i lor destrier veloci, e snelli,
     E corron verso il prato stabilito
     Sempre del par senza passarsi un dito.

Con un trotto disciolto s’appresenta
     Sopra il caval che si vagheggia Ismeno
     Poi fa, che ’l manco sprone il destrier senta,
     E gira à un tratto in ver la destra il freno.
     Di salto in salto il buon caval s’aventa,
     Dov’egli il volge, e cinge un picciol seno,
     Forma il caval il giro, e vi stà dentro,
     E l’huom possiede ogni hor l’ istesso centro.

In un batter di ciglio il giro abbraccia
     Il buon caval, mentre obedisce, e ruota,
     Già tien la groppa, ove tenea la faccia,
     Et in due salti fa tutta la rota:
     Pure à man destra il cavaliero il caccia,
     Fin, che ’l quarto girar perfetto nota,
     Ne in otto salti fa manco, ò soverchio,
     Ma preme il punto ù diè principio al cerchio.

Poi verso la sinistra il fren gli tira,
     E tutto à un tempo il punge co’l piè destro,
     E ’l caval, che l’ intende, à un tratto gira
     Co’ suoi salti à man manca agile, e destro,
     Et ad ogni due tempi il punto mira,
     Che diè principio al suo cerchio terrestro,
     Poi lo svolge à man destra, e giunge à punto
     Ogni secondo salto al primo punto.

Come al fin del girar preme l’arena,
     Con gli sproni, e le polpe egli lo strigne,
     E ’l morso alza, e ’l caval l’intende à pena,
     Che con un presto salto al ciel si spigne.
     La verga il tocca allhor dietro à la schena,
     Gli sproni un palmo lunge da le cigne,
     E ’l caval mentre anchor in aria pende,
     Una coppia di calci al ciel distende.

Ogni narice havea talmente enfiata,
     Et ogni foro suo di modo aperto,
     Ch’ogni sua vena si saria contata,
     Ogni musculo suo tutto scoperto.
     Come ristampa il piè l’arena amata,
     Non gli dà tempo il cavaliero esperto,
     Con gli sproni, e co’l fren l’estolle in alto,
     Co i calci in aria insino al terzo salto.

E sempre che ’l caval la terra fiede,
     Tien la medesma arena occulta, e oppressa,
     E ne l’orma medesma pone il piede,
     La quale havea con l’altro salto impressa,
     E per quel, che ne giudica, e ne crede,
     Chi vista prima havea la prova istessa,
     Havrebbe fatto il quarto salto, e ’l quinto,
     Se non havesse un dardo Ismeno estinto.