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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/209

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Il superbo parlar, l’ira, e ’l furore
     Multiplicò di sorte, e quinci, e quindi,
     Che de l’albergo d’Eolo volar fuore
     Bravando i venti Occidentali, e gl’Indi.
     La superbia d’ Europa in dishonore
     De l’Asia, il sasso rio vuol mover’ indi,
     E darla al monte suo per l’aria à volo,
     Se ruinar devesse il doppio polo.

Eolo per porre à quell’orgoglio il morso,
     Li richiamava al regio albergo in vano,
     Ma quei per l’aria havean già preso il corso,
     E facean tremar Lipari, e Vulcano.
     Hebber gli Orientali in lor soccorso
     L’horribil Borea de la destra mano,
     Ne la pugna à man manca hebber consorte
     L’ inventor de la peste, e de la morte.

Come l’altier Favonio entrato sente
     Sirocco, et Aquilon con gli Euri in lega,
     Fa chiamare in favor de l’Occidente
     Afraustro da man destra, e seco il lega.
     Da man sinistra Circio anchor consente
     À Coro, che con caldo affetto il prega,
     Disposti in tutto por la sassea fronte
     Su’l patrio, ond’uscì già Sipilo monte.

Fende un meridian il mare Egeo,
     Che pon fra l’Asia, e fia l’Europa il segno.
     Gli aerei Venti, i quai produsse Astreo
     Che di quà da tal linea hanno il lor regno,
     Contra il furor del soffio Nabateo,
     In favor di Favonio armar lo sdegno.
     Ma quei, che verso l’Asia han lor ricetto,
     Per gli Euri il soffio lor trasser dal petto.

Il caldo Noto in lega entrar non volse,
     Ne il freddo opposto à lui Settentrione,
     Ma di star neutro l’uno, e l’altro tolse
     À guardia de la propria regione.
     Poi ch’ogn’un nel suo regno si raccolse,
     Prima, che si venisse al paragone,
     Noto, il cui grembo, e crin continuo piove,
     Fece del suo valor l’ultime prove.

Con procelle acerbissime, e frequenti
     Manda ne l’aere un tempestoso grido,
     E par, che dica à gli sfidati venti,
     Non date noia al mio superbo lido.
     Alcuno in danno mio soffiar non tenti,
     S’ama sicuro star nel proprio nido.
     E ’n questa guisa egli si mostra, e sforza,
     Per assicurar se da l’ altrui forza.

Settentrion, che ’l grido horribil sente,
     E ’l tempestar, ch’assorda, e oscura il giorno,
     Ch’ irato offende il suo regno possente
     Per dritta linea in suo dispregio, e scorno;
     Con ogni suo poter se ne risente,
     E soffia in dishonor del mezzo giorno.
     E i neutri, che volean starsi in disparte,
     Son primi à dar principio al fiero Marte,

Favonio de l’occaso Imperadore,
     Che vede i due, c’han già ingombrato il cielo,
     Pensando in aria alzar in lor disnore
     Colei, ch’in Thebe asconde un sasseo velo,
     Mostra co i colligati il suo furore
     Contra lei, che sprezzò gli Dei di Delo,
     E ne l’incontro un vortice, un fracasso
     Fan, che per forza in aria alzano il sasso.

L’Imperador contrario Subsolano,
     Ch’à punto havea disposti i suoi consorti,
     Acciò che ’l soffio Hibero co’l Germano
     In Asia il marmo heretico non porti,
     E vegga il mondo manifesto, e piano,
     Che i venti Orientali son più forti,
     Soffia contra Occidente per vetare
     À la statua infedel, che passi il mare.

Chi potria mai contar l’orgoglio, e l’ ira,
     Che la terra distrugge, e ’l cielo assorda?
     Nel mondo d’ ogni lato il vento spira,
     Con rabbia tal d’haver l’honore ingorda,
     Che nel superbo incontro à forza gira,
     Mentre il nemico al suo voler discorda,
     Che poi ch’aperto il passo alcun non trova,
     È forza, ch’à girar l’un l’altro mova.