Vai al contenuto

Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/236

Da Wikisource.

haver pensier’ alcuno che non sia cieco dal soverchio desiderio di adunare ricchezze. Le Arpie sozze che gli levano le vivande, di modo che non può mangiare, sono i continui, e pungentissimi stimoli del risparmio, che non lo lasciano gustare ne cibo, ne bevanda; sono cacciati questi stimoli da gli animi grandi, e liberali; ma non restano però come prima veggono partiti quelli che i cacciano, di ritornare a i loro costumati cibi del misero Fineo. Quanto sia odiata da Dio, da gli huomini, e dal mondo l’infame avaritia, non è alcuno che non lo conosca, come nemica d’ogni humana felicità e radice de tutti i mali, come scrisse l’Apostolo.


LIBRO SETTIMO

G
ià per lo novo mar la nova nave

     Havea la vela, il vento, e ’l mare inteso,
     E con soffio hor tropp’aspro, hor più soave
     Sopra la Tracia havea quel regno preso,
     Nel qual Fineo senz’occhi, e d’anni grave
     Era da l’empie Arpie continuo offeso.
     E già con ricchi doni, e lieto volto
     V’era stato Giason visto, e raccolto.

Dove i figli di Borea alati, e snelli
     Per satisfare à tanto obligo in parte,
     Scacciati haveano i rei virginei augelli,
     Co’ quai venner ne l’aria al fiero Marte.
     E i venti havendo havuti hor buoni, hor felli,
     E posto in opra hor l’anchore, hor le sarte,
     Eran ne l’Asia scesi in quel lido,
     Ch’era al bel vello albergo antico, e fido.

Hor mentre allegri al Re de’ Colchi vanno,
     E che Giasone il suo pensier palesa,
     E tutti intorno al Re con preghi stanno,
     Che lor conceda il vello, e la contesa,
     E ch’ei rimembra le fatiche, e ’l danno,
     Che lor succeder può da questa impresa,
     Medea figlia del Re, che vede, e intende
     L’ardito cavalier, di lui s’accende.