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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/252

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Tu desti al sacrificio, invitto, e degno
     Teseo quel toro, il cui furore, e scorno
     Prima il Cretense, e poi il Palladio regno
     Distrutto havea co’l periglioso corno.
     Salvasti Cremion da un’ altro sdegno
     À quella belva ria togliendo il giorno,
     Ch’al cinghial Calidonio, e d’ Erimanto
     Vestì già nel suo grembo il carnal manto.

Liberasti Epidauro dal sospetto
     Di Perifeta figlio di Vulcano.
     Tu passasti à Procuste il crudo petto,
     Che contra il seme human fu si inhumano:
     Che s’un’ huom troppo corto havea nel letto
     Via più lungo il rendea con l’empia mano;
     E s’ havea troppo smisurato il busto
     La sega per lo letto il facea giusto.

La destra tua in Eleusi il sangue agghiaccia
     Di Cercion co’l suo honorato telo.
     Fa, che quel Sini anchor sepolto ghiaccia,
     Che soleva à due pin piegar lo stelo,
     E legate c’havea d’un’ huom le braccia
     À le due cime ir le lasciava al cielo;
     E godea di veder con questo aviso
     Sù due pini in due parti un’ huom diviso.

Tu per gire ad Alcatoe, al Lelegeo
     Muro, hai fatto ad ogn’un libero il passo,
     Quel ladro ucciso havendo iniquo, e reo,
     Che poi nel mar fu trasformato in sasso.
     Sciron fra il nostro, e ’l lito Megareo
     Fea de l’alma, e de beni ignudo, e casso
     L’incauto, et innocente peregrino,
     Dandol co’l piè dal monte al Re marino.

Ma tu v’andasti, e da l’istesso monte
     Desti co’l piede à lui l’ istessa fossa,
     Di cui sbattute fur dal salso fonte
     Più giorni in qua, e in là l’ horribili ossa.
     Alfin con l’ossa sue prese altra fronte
     Nel mar stesso, ov’hebbe la percossa,
     E anchor più d’un superbo, et aspro scoglio
     Fà fede del suo nome, e del suo orgoglio.

E s’ io vorrò contare à parte à parte
     Tutto il ben, che m’apporta il tuo valore,
     Non potrò mai con ogni sforzo, et arte
     Supplire al tuo da me debito honore.
     La spada usasti tu per me di Marte,
     Io la cetra d’Apollo in tuo favore,
     Ma l’arme del tuo Marte oprato ha tanto,
     Che aggiunger non vi può d’Apollo il canto.

Mentre hai tanti per me colpi sofferti,
     Fù lo scudo di Marte il tuo riparo,
     Mentre, ch’ io canto, e celebro i tuoi merti,
     Con lo scudo di Bacco io mi riparo.
     Hor se i disagi tuoi fur varij, e certi,
     E ’l mio d’hoggi conforto, e vario, e chiaro,
     Veggio , se ben son d’appagarti vago,
     Che più ti debbo quanto più t’appago.

Mentre il divin Poeta, e ’l carme, e ’l legno
     Dà maggior lume à gesti di Teseo,
     E commenda l’ardir, l’arte, e l’ ingegno,
     Onde tante alte imprese al mondo feo,
     Et ogni fatto suo celebre, e degno
     Fà pianger di dolcezza il vecchio Egeo,
     E la città Palladia in ogni loco,
     È tutta suono, e canto, e festa, e gioco.

Un vecchio secretario del consiglio
     S’appresenta, ove il Re con Teseo siede,
     E fatto riverentia al padre, e al figlio,
     Solo udienza al Re secreta chiede,
     E fa talmente à lui pensoso il ciglio,
     Ch’ogn’un, che guarda, manifesto vede
     Mentr’ei si turba alquanto, e ascolta, e tace,
     Ch’ei dice cosa al Re, che non gli piace.

Pur la gioia, che puote al volto impetra,
     E finge come pria la mente lieta,
     E comanda à la lira, et à la cetra,
     Coe per festa d’ogn’un non stia più cheta:
     Poi prende per la mano il figlio d’Etra,
     E ’l mena nella stanza più secreta,
     Dove discorron quell’aviso insieme,
     Che diede il secretario, e ch’al Re preme.