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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/260

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Mentre per gire al tempio i passi io movo,
     Per ringratiar la corte alma, e divina,
     Veggo piena ogni via del popol novo,
     Che ’l novo Re saluta, e gli s’ inchina.
     À pena dove porre il piede io trovo,
     Tanto è ’l popol, che guarda, e che camina,
     E si grida, e fa festa, e tutto quello,
     Ch’un popol fa, ch’elegge un Re novello.

Dato l’honore al santo sacrificio,
     Per compartir le facultà del regno
     Distribuisco ogni grado, ogni officio,
     E ’l più nobile honor dono al più degno:
     Poi dividendo il campo, e l’edificio,
     Frà confino, e confin fò porre il segno,
     E fo, ch’ogn’un del mio compartimento
     Secondo il grado suo resta contento.

Considerando poi chi furo, e come
     Hebber dal prego mio gli humani accenti,
     Per dimostrar l’origine co’l nome,
     Gli chiamai Mirmidon da lor parenti.
     Et à queili di pria travagli, e some
     Hanno applicate anchor l’avare menti:
     Son parchi, e cauti, e dati à le fatiche,
     E cupidi de frutti de le spiche.

E secondo eran providi, et accorti
     Nella buona stagion per tutto l’anno,
     Cosi sono hoggi industriosi, e forti,
     Et acquistare, e custodir ben sanno.
     D’anni eguali, e di cor ne’ vostri porti
     In soccorso d’Egeo teco verranno,
     I quai ne l’arme han tanto ordine, et arte,
     Ch’oserian contra il campo andar di Marte.

Con queste, et altre cose il Re cortese
     Con Cefalo passar cercava il giorno,
     Finch’à la mensa splendida si prese
     Tutto quel, che può dar la copia, e ’l corno.
     Quindi poi che Lieo lieto ogn’un rese,
     Donar le membra al morbido soggiorno,
     E le fidaro à l’otiose piume,
     Fin ch’ à splender nel ciel venne un sol lume.

Ma poi che la fanciulla di Titone
     Venne à dar bando à l’ombre oscure, e felle,
     E fece, che fuggiro il paragone
     Del maggior foco tutte l’altre stelle;
     Saltaro prima in piè Buti, e Clitone,
     E s’ornar de le vesti altere, e belle,
     E giro à trovar Cefalo, ch’ intanto
     Il corpo adorno fea del ricco manto.

Da questi, e da molti altri accompagnato
     Al regio albergo il nuntio si trasporta,
     Ma essendo anchor dal sonno il Re gravato,
     À tutti si tenea chiusa la porta.
     Hor mentre attende, ch’ Eaco sia levato,
     E per la sala regia si diporta,
     Ecco entra in sala Foco il terzo figlio
     Del Re, per gire à lui, com’ apra il ciglio.

Peleo con Telamone erano intenti,
     Gli altri figli del Re d’età maggiori,
     À proveder quell’armi, e quelle genti,
     Le quai per questo affar credean migliori,
     Perche potesser gir co i primi venti
     In favor de gli Achivi ambasciatori.
     Hor, come Foco appar, si vede avante
     Con Cefalo i due figli di Pallante.

Poi che ’l grato saluto, e l’accoglienza
     Fè quinci, e quindi il debito opportuno,
     E Foco udì, ch’à la real presenza
     Non ammetteva il sonno anchora alcuno,
     Si posero à seder, non però senza
     Servare il grado, e l’ordine d’ogn’uno.
     E stando à ragionar, fermò lo sguardo
     Foco, ove in man teneva un paggio un dardo.

E, perche il giudicò superbo, e bello,
     E non conobbe l’albero, e ’l colore,
     Chiamò quel paggio, e volle in mano havello,
     E riguardar da presso il suo splendore;
     E forte il ritrovò lucido, e snello.
     Poi volse il guardo à l’Attico Signore,
     E non sapendo l’arme esser fatale,
     Lodò con questo suon l’ ignoto strale.