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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/293

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Fu Meleagro, il giovinetto altero,
     Figlio d’ Eneo nomato, il qual s’accinse
     Per tor di vita il mostro horrendo, e fero,
     E l’Achea nobiltà tutta vi spinse.
     Ogni famoso in Grecia cavaliero
     Contra il mostro infelice il ferro strinse,
     Fra quali andò quel, che si fe bifolco
     Allhor, che tolse il vello, e l’oro à Colco.

Il gemino valor, c’hoggi in ciel luce
     Dal zelo de l’honor suaso, e spinto,
     Vi corse, io dico Castore, e Polluce,
     Peritoo anchor di vero amore avinto
     À quello invitto, e glorioso Duce,
     Che superò l’error del laberinto.
     L’altier Leucippo, e Acasto il fier vi venne,
     Ch’al trar del dardo il primo loco ottenne.

Il Signor de la caccia anchor vi chiede
     Plessippo il foste, e ’l suo fratel Tosseo,
     Et Ida altier del suo veloce piede,
     E ’l fier Linceo, che nacque d’Afareo,
     E quello, al quale un’altra forma diede
     Nettuno, già donzella, et hor Ceneo.
     Quel Dio la trasse al coniugal trastullo,
     E ’n ricompensa poi la fe fanciullo.

Ecco vi giunge Hippotoo con Driante,
     E con Fenice à questa impresa arride.
     Volse à questo camin con lor le piante
     Menetio, e Fileo, ilqual nacque in Elide.
     E con Ameto l’ Iolao Hiante,
     E da la moglie anchor sicuro Eclide.
     Eurithion vi fe di poi tragitto,
     Con Echion, che fu nel corso invitto.

Non men Lelege, e Hileo drizzan la fronte
     Per riparare à Calidonij danni.
     Et Hippalo, et Anceo dal Ligio monte,
     Corre à provar come il Cinghiale azzanni.
     E Panopeo co i due d’Hippocoonte
     Figli, e ’l saggio Nestor ne’ suoi prim’anni.
     Laerte, et Mopso, e poi con altri mille
     Telamon giunse, e ’l gran padre d’Achille.

Al fin la bella vergine Atalanta
     Desio d’honore à questa impresa accende.
     Veste succinta, e lucida l’ammanta,
     Che di varij color tutta risplende.
     Vien con maniera in un gioconda, e santa,
     Et in favor del Re si mostra, e rende.
     L’arco, e l’andar promette, e ’l bello aspetto
     In giovinil valore alto intelletto.

Se ben la vista ell’ ha vergine, e bella,
     Non l’ hà del tutto molle, e feminile;
     Ma ogni sua parte fuor, che la favella,
     Par d’un fanciullo ingenuo, almo, e gentile.
     Nel volto impresso par d’una donzella
     Narciso il bel nel suo più verde Aprile:
     Rassembra à tutti un natural Narciso,
     Ch’impressa una donzella habbia nel viso.

Scheneo diè già questa fanciulla al mondo,
     Tre lustri pria ne la città Tegea.
     Come vede quel viso almo, e giocondo
     Il figlio altier de la crudele Altea,
     Sente passar per gli occhi al cor profondo
     La fiamma del figliuol di Citherea.
     Ben potrà, dice, quei lodar sua sorte,
     S’ella alcun degnerà farsi consorte.

Ma l’opra, ove l’honor lo sprona, e spinge,
     Dal suo maggior piacer l’ invola, e svia,
     Contra il crudo nemico il ferro stringe,
     E per diversi calli ogn’un v’ invia.
     Tutta d’ intorno una gran selva cinge,
     Ch’ eletta per sua stanza il verre havia.
     De l’empia tana sua tengon le chiavi
     Le folte spine, e l’elevate travi.

L’antica selva insino al ciel s’estolle,
     Et una larga valle asconde, e chiude.
     La pioggia, c’ ha da questo, e da quel colle
     Vi conserva nel mezzo una palude.
     Là dove il giunco delicato, e molle
     Forma le verghe sue di fronda ignude.
     Quivi fra salci, e fra palustri canne
     Stavano allhor l’ insidiose zanne.