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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/296

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Ne men s’allegra il giovane Signore
     Di Calidonia, che primier s’accorse,
     E mostrò primo il virginal valore
     À suoi compagni, e ’l sangue, che fuor corse.
     Ben n’havrai (disse) il meritato honore
     Vedrai, ch’ indarno il ciel quà non ti scorse.
     Vermiglio à molti il volto invito rese,
     Poi tutti al periglioso assalto accese.

Si fan l’un l’altro core, e innanzi vanno
     Contra la belva insidiosa, e truce,
     E tutti al corpo suo cercan far danno
     Da quella parte, ove perde la luce.
     Ne però strada anchor ritrovar sanno
     Da tor per sempre à lui l’aura, e la luce.
     Percoton mille strai l’ hirsuta veste,
     Ma l’un l’altro impedisce, e non investe.

Ecco contra il suo fato il corso affretta
     Il glorioso, et infelice Alceo,
     Et con ambe le mani alza una accetta,
     E s’avicina al mostro horrendo, e reo.
     Questa farà ben meglio la vendetta
     Dice, che ’l dardo virginal non feo,
     State à veder, se con quest’arme io ’l domo,
     E se val più d’una donzella un’ huomo.

S’opponga pur Diana co’l suo scudo,
     Difendalo se può da la mia forza,
     C’hor hora il fo restar de l’alma ignudo,
     E acquisto al mio valor l’hirsuta scorza.
     Hor mentre di calare il colpo crudo
     Co’l suo maggior potere Alceo si sforza,
     Il porco contra lui si spinge, e serra,
     E fa cadere in van la scure in terra.

Co’l curvo dente in quella parte il fende,
     Che ’l core, e i membri interni asconde, e copre.
     La piaga l’infelice in terra stende,
     E le parti secrete allarga, e scopre.
     Hor mentre, ch’à quel Dio l’anima rende,
     Che suol giudicio far de le nostre opre;
     Peritoo ò vuol, che ’l porco empio l’azzanni,
     Ó si vuol vendicar di tanti danni.

Con l’hasta tridentata affretta il corso,
     Dove s’è fatto forte il suo nemico,
     Ma tosto pone al suo furore il morso
     Teseo suo vero, e cordiale amico.
     Dov’è gito (gli dice) il tuo discorso?
     Hai tu perduto il tuo consiglio antico?
     Non dee l’huom forte mai prender duello
     Con animal di lui più forte, e fello.

L’huom saggio dee (sia quanto vuol gagliardo)
     Simil fere domar col proprio ingegno.
     Con l’huom convien, che l’huom non sia codardo,
     Se vuol salvare, ò guadagnare un regno.
     Mentre, che ’l persuade aventa un dardo,
     Che giunse à punto al destinato segno,
     Ma non ferì il Cinghial, che d’ ira acceso
     Havea contra un gran veltro il corso preso.

Gli salta il veltre intorno, e ’l mostro fero
     Ovunque il can si volge, il capo gira.
     L’ardito intanto, e forte cavaliero
     De la prudente Athene un dardo tira;
     E dato al segno destinato, e vero
     Havrebbe, ù l’occhio havea presa la mira;
     Ma il can s’oppose in quel, che’l braccio ei sciolse,
     E salvò à lui la vita, e à se la tolse.

L’ardito Meleagro havea più volte
     Cercato d’investir, ma sempre in vano.
     Il moto del Cinghial, le piante folte
     Sempre in van fergli uscir l’arme di mano.
     Due diverse arme ultimamente tolte,
     La prima vuol, ch’ investa di lontano,
     Obedisce ella, e fora, e prende albergo
     Nel suo pur dianzi inviolabil tergo.

Quando ei vide al Cinghial vermiglio il dosso,
     E che punto dal duol s’aggira, e scuote,
     Con l’altra arma, c’ ha in man gli corre adosso,
     E la sinistra parte gli percote.
     Passa il superbo acciar la carne, e l’osso,
     Ne il coraggioso cor resister puote.
     Il porco mentre può, si duole, e langue,
     Poi cade, e manda fuor la vita, e ’l sangue.