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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/316

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LIBRO NONO

T
eseo, ch’ode i sospiri, e ’l pianto vede,

     Ch’ asconder cerca il Calidonio fonte,
     Lascia, che si rihabbia alquanto, e chiede
     Con modi, e con parole accorte, e conte,
     Qual sia l’aspro dolor, che ’l cor gli fiede,
     E chi d’un corno gli privò la fronte.
     Ei l’ inornato crin prima raccoglie
     Fra canne in cerchio, e poi la lingua scioglie.

Dura gratia mi chiedi in questa parte,
     E gravar non mi puoi di maggior pondo:
     E chi conteria mai quel flebil Marte,
     Dove da solo à sol fu posto in fondo?
     Pur ti conterò tutto à parte à parte,
     Perche fu il vincitor si raro al mondo:
     Ch’à tanto incarco il perder non m’arreco,
     Quanto ad honor l’haver pugnato seco.

Credo, ch’inteso havrai (che non è molto)
     Che d’Eneo Re di Calidonia nacque
     La bella Deianira, il cui bel volto
     À mille amanti, e al forte Hercole piacque.
     Ne de suoi dolci nodi io restai sciolto,
     Ma del foco d’ Amore arsi in quest’ acque.
     Comparsi poi, che ’l mio lume la vide,
     Dov’era il padre, e con mill’altri Alcide.

Di quei, che lei volean chieder consorte,
     Presi da le bellezze uniche, e nove,
     Non vi fu alcun si coraggioso, e forte,
     Che non cedesse al gran figlio di Giove.
     Solo io volli con lui tentar la sorte,
     E de le forze sue veder le prove.
     E in presenza d’Alcide mi conversi
     Al Re suo padre, e genero m’offersi.

Mi riguardò il rival con qualche sdegno,
     Poi volto al vecchio Eneo l’affetto e ’l zelo,
     Fà de la figlia tua me (disse) degno,
     Degna, che socero habbia il Re del cielo.
     E qui contò le forze, e ’l grande ingegno,
     Che tanti mostri havean fatti di gielo,
     E c’havea superata ogni maligna
     Impresa, imposta à lui da la matrigna.