Vai al contenuto

Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/358

Da Wikisource.

LIBRO DECIMO

D
ato c’hanno à gli sposi ogni favore

     Giunone, e Citherea con Himeneo,
     Giunon lasciò la Dea madre d’Amore,
     E de la vista sua lieto il ciel feo.
     Ma gli altri due, tirati dal candore
     Del verso felicissimo d’Orfeo,
     Lasciar di ritornare al regno santo
     Per udir la sua Lira, e ’l suo bel canto.

Orfeo d’Apollo, e di Calliope nacque,
     Del padre de’ poeti, e d’una Musa,
     E dal favor de tai parenti giacque
     Ne la bell’alma sua tal gratia infusa.
     Talmente anchor lo sparser di quell’acque,
     Ch’uscir del sangue alato di Medusa,
     Che nel cantare i gesti de gli Heroi
     Più degno huom non fu mai prima, ne poi.

Hebbe dal padre poi quel cavo legno,
     Che ’l padre dal nipote hebbe d’Atlante.
     Dal padre apprese il tuon, la chiave, e ’l segno,
     Che fa, che con prudenza il nervo cante.
     Et ei, che si felice hebbe l’ ingegno,
     Sì ben serbò le sue parole sante,
     Che mosse à udire il suon concorde à carmi
     Gli huomini, e gli animai, le piante, e marmi.

Quel legno appoggia à la mammella manca,
     Che si felice il suon figura, e rende;
     Opra la destra assicurata, e franca,
     Che l’arco unito à nervi hor poggia, hor scende.
     Le corde l’altra man premer non manca,
     Ma con la destra, e l’arco à pien s’intende.
     Et ei, secondo à lui mostrò già il Sole,
     V’accorda à tempo i versi, e le parole.

Non fa, che ’l verso serva al canto, e al suono,
     Ma ben, ch’al verso il canto, e ’l suon risponda,
     Ne vuol, che ’l gorgheggiar soave, e buono
     L’accento, e la parola al verso asconda.
     Ne men, che d’ Helicona il santo dono
     Con suon troppo possente si confonda.
     Ma mentre ferma il canto, e che rispira,
     Fa con più alto suon sentir la Lira.