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Conosco, al lume pio, ch’ incontri meco,
Ch’un’anima mi dai, l’altra mi rendi;
Tal, ch’io dentro al tuo cor mi trovo teco,
E tu dentro al mio sen vivi, et intendi.
Deh poi, ch’ogn’un di noi due spirti ha seco,
Poi che l’anima tua non mi contendi,
Uniam quel corpo, ch’è diviso in dui,
E con nostro piacer gioviamo altrui.
Nel fin di questo dir l’abbraccia, e stringe,
E ’l nettar sugge à le vermiglie rose.
Poi su’l vario color, che ’l suol dipinge,
Gli dice, e mostra, che s’assida, e pose.
Ei di doppio rossor la guancia tinge,
E con timide note, e vergognose
Mostrando riverentia, e vero affetto
Scoprì dolce, et humil l’acceso petto.
Ben conosco io, che l’amoroso fine
Con somma gioia il mondo informa, e veste:
Ma noi dobbiam con le ginocchie chine
Venerare una Dea santa, e celeste.
Ne degno è d’abbracciar l’alme divine
Un, che possiede la terrena veste.
Pur se ben d’obedirvi ardo, e pavento,
Vò compiacendo à voi far me contento.
Vorrei potervi offrir l’havere, e ’l regno;
Ma come il posso far, se ’l regno è vostro?
Io ministro di voi ne sono indegno,
E sol d’honorar voi gl’ insegno, e mostro.
Voi del mio fido cor scegliete il pegno,
Prendete il lume interno, e ’l carnal chiostro.
À me di me nulla riserbo, à voi
Dono quest’alma, e tutti i pregi suoi.
Su l’herba egli, e la Dea s’asside, e stende,
Per darsi ad ogni ben, che più amor prezza:
E quel diletto l’un de l’altro prende,
Che vuol la loro età, la lor bellezza.
Di grado in grado il lor piacere ascende,
Fin che possiedon l’ultima dolcezza.
Tornan più volte à l’amoroso Marte,
E l’un da l’altro al fin lieto si parte.
L’innamorata madre di Cupido,
Abbraccia l’amor suo la notte, e ’l giorno.
Come può haverlo in solitario nido,
L’invita à l’amoroso almo soggiorno.
Abbandona Citera, e Pafo, e Gnido,
Per darsi in braccio al Re bello, et adorno.
Per la beltà d’un bel corporeo velo,
Pone in oblio le patrie, e i tempij, e ’l cielo.
À tutti gli altri cacciator s’asconde,
Si mostra solo à lui lasciva, e bella.
Al vago manto, et à le chiome bionde
Cerca dare ogni dì foggia novella.
Dapoi và seco à l’ombra de le fronde,
Mentre è più calda la diurna stella:
E ’l bacia mille volte, e ’l mira, e l’ode,
E con piacer di lui se’l sugge, e gode.
Poi di seguirlo in caccia si compiace,
Ne l’habito succinto di Diana,
Cacciando l’animal molle, e fugace,
Ma non la belva spaventosa, e strana.
L’orso, e ’l leone, et ogni fiera audace
Fa co’l poter divin star ne la tana:
Gli fa slongar da luoghi, ov’essi vanno,
Perch’al suo bello Adon non faccian danno.
Si dovea far nel regno eterno, e pio
In honor di quel Dio, che tutto move,
Un superbo trionfo; et ogni Dio
Trovar doveasi adorno innanzi à Giove:
Se bene il ciel la Dea post’ ha in oblio,
Forz’è, ch’à questa festa si ritrove.
Hor pria che torni al regno alto, e felice,
Co’l l’ultimo dì gli parla, e dice.
Poi che d’andare al regno de le stelle
La trionfal del ciel pompa mi sforza,
Per salvar le tue membra amate, e belle
Da la ferina, e ria superbia, e forza,
Di non cacciar le fere horrende, e felle,
Che nocer ponno à la corporea scorza,
Ti prego, t’ammonisco, e ti consiglio,
Ne vogli esser altier con tuo periglio.