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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/414

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Per tutto i Sogni à lei la strada fanno,
     Che passi, ove lo Dio posa le gote.
     Alza ella al padiglione il nero panno,
     E quattro, e cinque volte il chiama, e scuote.
     Tosto, che ’l primo suon le voci danno,
     Fugge quindi il Silentio più che puote.
     Di scuoter ella, e di chiamar non resta,
     Tanto, ch’à gran fatica al fine il desta.

Con gran difficultà lo Dio s’arrende
     Al grido, ch’à destarsi il persuade;
     Sul letto assiso si distorce, e stende,
     E chiede sbadigliando, che l’accade.
     La Dea comincia, e mentre à dire intende,
     Su’l petto ei tuttavia co’l mento cade.
     Ella lo scuote, e come avien, che ’l tocchi,
     Procura con le dita aprir ben gli occhi.

Sul braccio al fin s’appoggia, et apre il lume,
     E la Dea conosciuta apre l’accento.
     Ó riposo del mondo, ò d’ogni Nume
     Più placido, più queto, e più contento;
     Ó Dio, che con le tue tranquille piume
     Togli il diurno à gli huomini tormento;
     Fa, ch’un de’ Sogni tuoi ne l’aria saglia
     Ver la città, ch’Alcide fe in Tessaglia.

E dì, ch’à l’ infelice Alcione apporte
     Con la sua finta ingannatrice imago,
     Come il naufragio anelò del suo consorte,
     E come s’annegò nel salso lago.
     La maggior Dea de la celeste corte,
     Ch’ella ne sappia il vero, il core ha vago.
     La Dea si parte al fin di queste note,
     Però che ’l sonno più soffrir non puote.

Per l’arco istesso, onde discese in terra,
     Tornò la bella nuntia al regno eletto.
     Fra tutto il falso popolo, che serra
     De’ propij figli il Sonno entro al suo tetto,
     Un nominato Morfeo ne disserra,
     Che sa meglio imitar l’ humano aspetto,
     Et oltre al volto accompagnar vi suole
     L’habito, il gesto, e ’l suon de le parole.

Sol l’animal, cui la ragione informa,
     Finge costui; ma quei figura, e mente
     Ogni bruto animale, e si trasforma
     Hor’ in orso, hora in lupo, hora in serpente:
     Talhor d’astore, ò grue prende la forma,
     Hor di chi porta à Giove il telo ardente;
     Icelo ne la parte eterna, e bella,
     Ma giù fra noi Forbetore s’appella.

Altri v’è poi, che si fa sasso, ò trave,
     Seta, lana, coton, metallo, ò fonte.
     Di ciò, che v’è, che l’anima non have,
     Fantaso il terzo Dio prende la fronte.
     Con le sembianze quegli hor liete, hor prave
     Inganna le persone illustri, e conte:
     Questi hor con mesta, hor con tranquilla vista
     Soglion render la plebe hor lieta, hor trista.

Fra mille figli suoi non vede il Sonno,
     Chi più di Morfeo andar possa opportuno.
     Poi che le membra sue vestir si ponno,
     Pur che sia d’huom, la forma di ciascuno.
     Se ’l fa venire avanti, indi il fa donno
     De la proposta volontà di Giuno.
     Vinto dapoi dal mormorar de l’onde,
     Per darsi à la quiete il capo asconde.

Batte Morfeo verso l’Etea pendice
     Per l’atro horror del ciel le tacit’ale,
     Per render dolorosa, et infelice
     Con quel, ch’ apportar vuol naufragio, e male,
     La sventurata moglie di Ceice:
     E giunge in breve à la città reale,
     Dove le penne, e ’l proprio volto lassa,
     E in quel del morto Re si chiude, e passa.

Senza il regio splendore haver nel volto,
     Ma del color d’un, che senz’ alma sia,
     Dove lo spirto il sonno tien sepolto
     De la moglie del Re pudica, e pia,
     Senza haver d’alcun panno il corpo involto ,
     Sparso di vero mar Morfeo s’invia,
     Piovendo il mento, e ’l crin l’onde su’l petto,
     Si rappresenta à lei vicino al letto.