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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/437

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Talmente era costui del senso privo,
     Che non sentì la sua seconda morte.
     Poi che costui fu tolto al mondo vivo,
     Vidi abbracciar Petreo superbo, e forte,
     (Per riportarne il trionfale ulivo,
     E per far noi de la tartarea corte,
     Per trarlo à noi) fuor di misura un cerro,
     Che n’uccida co’l peso, e non co’l ferro.

Mentre il cerro levar Petreo si sforza,
     Con Teseo appar Peritoo in quella parte,
     Ch’à molti havean la mostruosa scorza
     Fatta di giel con fero, e horribil Marte.
     Tosto Peritoo altier fa, che per forza
     Dal suo fratel Petreo l’alma si parte;
     E con l’hasta, onde à lui trafora il petto,
     Fa cader co’l caval l’humano aspetto.

La virtù di Peritoo è, che fa l’alma
     Di Lico à l’altra vita far tragitto.
     La virtù, che Peritoo ha ne la palma,
     Dà il miser Cromi al regno atro, et afflitto.
     Ma ben con maggior gloria ha poi la palma
     De i due più valorosi Helopo, e Ditto,
     Lancia ad Helopo un’hasta altera, et empia,
     E fora lui da l’una à l’altra tempia.

Poi tutto à un tempo il figlio d’ Issione
     La spada impugna, e move à Ditto guerra,
     Tosto lo scudo il fier Centauro oppone,
     Ne fa cader Peritoo il mezzo in terra.
     Ferito in fuga poi Ditto si pone,
     Che l’alma anchor mandar non vuol sotterra.
     Ma incauto nel fuggir cade d’un monte,
     E dà mal grado suo l’alma à Caronte.

Tal del cader fu del Centauro il peso,
     Che fe schiantare il ceppo d’un grosso orno.
     Ecco Phereo ne vien di rabbia acceso,
     Per fare à chi ’l ferì lo stesso scorno.
     E mentre un sasso, che dal monte ha preso,
     Tira, per torre al fier Peritoo il giorno,
     À tempo il buon Teseo si move al corso,
     Et à l’amico suo porge soccorso.

Mentre per aventar la grossa massa
     Ambe le man con gran disdegno arretra,
     Se gli fa incontra, e una gran stanga abbassa
     Per rompergli il disegno il figlio d’Etra.
     Gli rompe ambe le braccia, e fa, che lassa
     Cadere à piedi suoi la grossa pietra.
     Poi contra Brianor s’adopra in modo,
     Che scioglie al suo composto il vital nodo.

Contra Nidimmo poi, ch’appresso vede,
     Lascia cader lo smisurato fusto,
     E gli toglie quel ben, che tenea in piede
     Il dosso cavallino, e ’l viril busto.
     Poi fa passar Licote ove risiede
     Il giudice infernal severo, e giusto:
     Perche l’alma condanni ingiusta, e fella
     Per quella, che rubar volea, donzella.

In Hippaso, in Rofeo la dura trave
     Fa rimanere il vital lume spento.
     E manda l’alme loro ingiuste, e prave
     À sottoporsi à l’ infernal tormento.
     Tereo, che di Teseo punto non pave,
     Vuol vendicare il suo biforme armento:
     Ma intanto Teseo il cerro alza, e le braccia,
     E con un colpo sol due corpi agghiaccia.

Demoloonte altier soffrir più tanta
     Strage non più de suoi fratei infelice,
     E con le braccia annoda una gran pianta
     Per estirparla fin da le radici.
     Al fin quel grosso pin nel mezzo schianta,
     E poi l’aventa contra i suoi nemici.
     Teseo da l’arbor si ritira, e osserva
     Ciò, che in quel punto à lui dice Minerva.

Ma non per questo in van l’arbor percote,
     Anzi nel suo cader Crantorre atterra,
     E fatte in tutto à lui le vene vote,
     Fa l’alma altera sua passar sotterra.
     Colui, ch’allhor perdè l’humane note,
     Achille, già seguì tuo padre in guerra.
     Il vinto Re di Dolopo già il diede
     In segno al padre tuo d’amore, e fede.