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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/442

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L’auttorità di Mopso in ver fu tale,
     Ch’ogn’un diè piena fede à ciò, ch’ei disse.
     Tenne ciascun, ch’egli mettesse l’ale,
     Ogni alma s’allegrò, che non morisse.
     Ben di torlo ardevamo à tanto male,
     Teseo, Peritoo, et io, mentre anchor visse.
     Ma ne fu dal pugnar la via impedita,
     Non senza gran periglio de la vita.

Se ben sapemmo poi non esser morto,
     Ma haver fra gli altri augelli il primo honore,
     Ne demmo à vendicar sì fatto torto,
     À disfogar l’incrudelito core.
     Ogn’un, che non fuggì, mandatnmo al porto
     Del regno de le strida, e del dolore:
     Pur la fuga qualch’un ne fe sicuro,
     Qualch’un la notte, e ’l ciel, che venne oscuro.

Mentre contò Nestor l’abbattimento,
     Che fu fra i mostri, e le Lapite squadre,
     Tlepolemo figliuol, stè molto intento,
     D’Hercole, al quale Astiochea fu madre,
     Sperando ogn’ hora udir qualche ardimento,
     Qualche prova notabile del padre,
     Saputo havendo da lo stesso Alcide
     Ciò, che contra i Centauri ei fece, e vide.

E volto ver Nestor gli disse. Dove
     Lasci il forte figliuol del maggior Dio?
     Deh come hai tu le maraviglie, e prove,
     Che fece Hercole allhor, poste in oblio?
     Sò ben, ch’à te quell’opre non son nove,
     Che fe contra i Centauri il padre mio.
     Però che ’l mondo tiene, e tutti sanno,
     C’hebber dal forte Alcide il maggior danno.

Non potè allhor tenere il viso asciutto
     Il miser vecchio, e disse, à lui rivolto.
     Deh perche à sparger m’hai, misero, indutto
     Innanzi à tanti Heroi di pianto il volto?
     Perche m’hai ricordato il duolo, e ’l lutto,
     Che m’havea di memoria il tempo tolto?
     Perche vuoi, ch’io ti dica, oltre à miei guai
     L’odio, ch’al padre tuo sempre portai ?

Certo al gran padre tuo non si può torre,
     Che non fosse maggior di quel, che dici.
     Cosi il potesse à te negar Nestorre,
     Che malvolontier loda i suoi nemici.
     Polidamante anchora, e il forte Hettorre
     Son nel pugnar non men fieri, e felici:
     Non ne parliam però con quella gloria
     Con cui gli amici suoi ne fan memoria.

Disfece il padre tuo fra l’altre imprese
     Messene, et Eli, e ’l mio paterno loco.
     Et oltre, che disfè tutto il paese,
     E che diè Pilo in preda al ferro, e al foco:
     Per non voler contar d’ogn’un, che rese
     Morto, che vi saria da dir non poco:
     Bastiti di saper, che in quella guerra
     Tutti i fratelli miei mandò sotterra.

Dodici già nascemmo di Neleo
     À sopportar quà giù la state, e ’l verno,
     Dodici da me in fuor passar ne feo
     Hercol, dal mondo vivo, al morto inferno.
     Fu d’undici homicidij Alcide reo,
     Che del mio stesso uscir sangue paterno.
     Hor fa giudicio tu, s’io feci errore
     À tacer, se l’ ho in odio, il suo valore.

Ma quel fratel mi dà più noia à l’alma,
     Che nomar Periclimeno, un guerriero,
     Ch’in tutte l’altre imprese hebbe la palma,
     Contra ogni più famoso cavaliero.
     Costui potea cangiar l’humana salma,
     Secondo più aggradava al suo pensiero.
     Hebbe tanto favor dal Re de l’acque,
     Da cui del nostro sangue il germe nacque.

In più d’un crudel mostro horrendo, e strano
     Si cangia il fratel mio l’humana veste.
     Quando poi vede affaticarsi in vano,
     Per far, che ’l padre tuo senz’alma reste,
     Si fa l’augel, che porta al Re soprano
     Ne l’unghia torta il folgore celeste.
     Poi l’unghie, il rostro, il volo, e ’l saggio aviso
     Straccian tutto à tuo padre il dorso, e ’l viso.