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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/461

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Vi prego grati Heroi per quella spene,
     C’ habbiam d’andar con gloria al patrio tetto,
     E s’altro resta à far per comun bene,
     Vi prego per quell’opra, ch’io prometto,
     E per la Dea, ch’io tolsi, e ne sostiene,
     Ch’ io possa di quel pregio armarmi il petto.
     Non è soverchio premio à quel guerriero,
     Che vi fa guadagnar si grande impero.

E se ’l merito mio non vi par tanto,
     Donate almen quell’arme à questa Dea.
     E la statua mostrò, che gli era à canto,
     C’havea involata à la cittate Idea.
     Si chinar tutti allhora al Nume santo,
     Da cui tanta vittoria s’attendea.
     Fatto ogn’un ver la Dea devoto, e fido,
     Alzò in favor d’Ulisse il braccio, e ’l grido.

Allhor conobbe ogn’uno apertamente,
     Quanto l’altrui facundia altrui commove.
     Che dei due cavalieri il più eloquente
     L’arme del pronepote hebbe di Giove.
     Quel, che già Hettorre, e Giove, e ’l foco ardente
     Sostenne, e fe tante stupende prove,
     Il tribunale Acheo superbo mira,
     Ne può bastare à sostenere un’ira.

Fu l’huomo invitto al fin dal dolor vinto
     E tratta fuor la spada, irato disse.
     È mia quest’arme ? ò col parlar suo finto
     Questa anchor vuol per li suoi merti Ulisse?
     Questo acciar mio del Frigio sangue tinto,
     Che mi diè tanto honore in tante risse,
     Il petto invitto mio privi de l’alma,
     E sol d’Aiace Aiace habbia la palma.

Com’ ha cosi parlato, alza la mano,
     E poi la tira à se con ogni forza;
     E quel petto ferisce, al quale in vano
     Ogni altro tentò pria forar la scorza.
     Lascia l’alma sdegnata il corpo humano,
     E di cader le membra essangui sforza.
     E del sangue, che in copia ivi si sparse,
     Un fior purpureo in un momento apparse.

Quel fior leggiadro, in cui cangiossi il figlio
     Già d’Amiclante di quel sangue uscio,
     E dal colore in fuor simile al giglio
     Le vaghe foglie in un immomento aprio.
     Formarsi anchor nel bel color vermiglio
     Le note, che v’ impresse il biondo Dio.
     E mostrò il novo fior descritto (come
     L’altro) il duol di Hiacinto, e ’l costui nome.

Havuto il cavalier d’Ithaca accorto
     Quel ricco don, c’havea tanto bramato,
     Partir fe un legno subito dal porto,
     Per dimostrarsi officioso, e grato;
     Dove salito, in breve tempo sorto
     Si vide su quel regno scelerato,
     Infame anchor per lo femineo sdegno,
     Ch’ uccise tutti gli huomini del regno.

Dove fe si co’l figlio di Peante,
     Che lasciato vi havea prima ferito,
     Che de l’odio il placò, che gli hebbe avante,
     E ’l diè con l’arco Herculeo al Frigio sito,
     Dove dopo tanti infortunij, e tante
     Fatiche il lungo assedio fu finito.
     I Greci entrar ne la Troiana terra,
     E fu l’ultima man data à tal guerra.

Arde la miserabil Troiaé e cade,
     E seco il vecchio Priamo cade insieme.
     Van gli huomini, e le donne à fil di spade;
     Tutti si veggon giunti à l’hore estreme.
     I morti, il sangue, e l’arme empion le strade;
     Ne l’aere il grido humano, e ’l foco freme.
     Arde in Troia ogni torre, e si disface,
     S’atterra, e atterra, e fa giacere, e giace.

Innanzi al santo altare, al sacro foco
     Lo sventurato Priamo al suo fin viene,
     E quel sangue dà fuor senile, e poco,
     Che l’ infelice vecchio ha ne le vene.
     Di spoglie per portarle al patrio loco
     Van carchi quei di Sparta, e quei d’ Athene.
     Tirata per le chiome al regno santo
     Tende Cassandra in van le mani, e ’l pianto.