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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/472

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Con mille gratie Enea prende comiato
     Dal custode di Delo illustre, e santo.
     Ma con ricchi presenti il Signor grato
     Vuol, che di lui si lodino altrettanto.
     D’un ricco scettro Anchise fu honorato;
     D’una faretra Ascanio, e d’un bel manto;
     Diede ad Enea d’un singular lavoro
     Tutto intagliato un ricco nappo d’oro.

À quel, che guarda al formator del giorno
     Il tempio in Delo il diè l’Ismeno Terse,
     Alcon Mileo formollo, e ’l fece adorno
     Di figure mirabili, e diverse.
     Una città con forti mura intorno
     V’ impresse, e con le porte il nome aperse.
     Mostrò con sette porte Alcon Mileo,
     Ch’era la città regia di Lieo.

Un solo è de l’historia l’argomento,
     Ma la turba è diversa, et infinita.
     Fuor de le porte cento roghi, e cento
     Ardono i corpi Ismeni senza vita.
     Alzan le donne il doloroso accento
     Per tanti giunti à l’ultima partita.
     Mostran stracciate il crin, percosse il petto,
     In mille modi il lor dolente affetto.

Già venne in Thebe una incurabil peste,
     E fu risposto à lei dal fato eterno.
     Se ’l popol vuol, che ’l morbo iniquo reste,
     Di dar l’alme Thebane al crudo inferno,
     De l’alma han da privar la carnal veste
     Due vergini per darsi al Re superno:
     Si dian liberamente al sacrificio
     Per torre à la città si gran supplicio.

Fra tutte sol due figlie d’Echione
     Fur d’animo, e di corpo adorno, e belle,
     Che per salvare i padri, e le matrone,
     I giovani Thebani, e le donzelle
     Offerser su l’altar le lor persone,
     Per hostia à le sacrifiche facelle.
     E tutto il lor successo acro, et amaro
     Mostran gl’ intagli, e l’or distinto, e chiaro.

Non gian da donne timide à la morte
     Per torre al popol lor tanto veleno,
     Ma si vedean con cor virile, e forte
     Porgere al crudel ferro il nudo seno.
     Uscite poi per le sanguigne porte
     L’alme, e lasciato il lor carcer terreno,
     Si vedeano portar con pompa al loco,
     Dove arder le dovea la pira, e ’l foco.

Ma il gran poter de’ fati non sofferse,
     Che ’l sangue d’Echion mancasse in terra;
     Hor mentre il foco ardente il vampo aperse,
     Per risolver quei corpi in poca terra,
     La virginal favilla si converse
     In due feroci giovani da guerra:
     Due de le verginali uscir faville,
     Che non havrian ceduto al grande Achille.

Se ben feroci, alteri, et inquieti
     Formogli il foco, e subiti, et ardenti;
     Pur furo allhora humani, e mansueti
     Per le materne essequie, e diligenti,
     Trattabili, amorevoli, e discreti,
     Dove fur posti i lor primi parenti,
     Con quella cura, che doveano haverne,
     Fer collocar le ceneri materne.

Fur nomati corone, e con tant’arte
     Alcon si belle historie vi distese,
     Che senz’altra scrittura à parte à parte,
     Ogni opra, ogni attion v’era palese.
     Il principe Troiano anchor fe parte
     De le reliquie Frigie al Re cortese.
     D’una nave d’argento un don gli feo
     Fatta per custodir l’odor Sabeo.

Con una coppa regia anchor gli diede
     Una corona d’or di gemme adorna,
     E poi di novo al Re comiato chiede,
     E ver l’armata sua co’ suoi ritorna.
     Indi per por su quell’isola il piede,
     Che di cento città se stessa adorna.
     Fa, che ’l nocchier ver Creta il camin prenda,
     Che tien, che di quel regno Apollo intenda.