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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/525

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Se la prodiga terra à noi nutrisce
     Tanti alberi, e tant’herbe ond ella abonda;
     E se l’albero, e l’herba à l’huomo offrisce
     L’uno ogni frutto suo, l’altra ogni fronda;
     Ond’è, che l’huom si temerario ardisce,
     Per l’ingorda sua gola, empia, e profonda,
     Del viver l’animal privar prescritto,
     E nutrir sè co’l sangue, e co’l delitto ?

L’herba, la barba, il seme, il frutto, e ’l fiore
     À l’huom per alimento si comporta;
     E quel soave, e candido liquore,
     Che la mammella gravida n’apporta;
     E quel si dolce mel, che con l’odore
     Del Timo, e d’altri fior tanto conforta.
     Dee di quel cibo l’huom restar contento,
     Che ’l gregge contentar puote, e l’armento.

La terra liberal gli huomini invita
     À cibi d’altro gusto, e d’altra sorte,
     Soavi al gusto, et utili à la vita,
     Che fan la vita à l’huom più lunga, e forte.
     Sol l’empie fere il gran furore incita
     À godersi del sangue, e de la morte.
     L’orso, il lupo, il leon, la tigre, e l’angue
     Aman con empio cor la morte, e ’l sangue.

Ma ’l mansueto armento, e ’l gregge molle,
     Che l’animo ha tranquillo, e temperato,
     Per nutrir sè, la vita altrui non tolle,
     E schiva l’altrui morte, e ’l suo peccato.
     E talhor pasce il dilettevol colle,
     Talhor nel fertil pian l’herboso prato.
     E cosi il cibo, e ’l natural conforto
     Prende, senza ch’altrui faccia alcun torto.

Ó quanto è gran delitto, ó quanto è ingiusto,
     Ó quanto è tristo, e scelerato effetto,
     Che debbia un busto ascondersi in un busto;
     Ch’ingrassar debbia un petto un’ altro petto;
     Che sia à un animal benigno, e giusto
     Per l’altrui vita il viver interdetto;
     Che per tenere in vita un’ huom cent’anni,
     Tanti corpi à morire un sol condanni.

Non può de’ frutti il numero infinito,
     Che la terra vi dà si liberale,
     Cibare il natural vostro appetito,
     Senza ferire altrui, senza altrui male?
     Che non seguite anchor, crudeli, il rito
     Di Polifemo? e ’l più saggio animale,
     Che non ferite anchor co’l vostro abuso,
     Per satisfar al ventre empio, e mal’ uso?

Però felice fu l’età de l’oro,
     Perche si contentò l’humano ingegno
     Di dare co’ frutti il debito ristoro
     À le sue vene, al suo carnal sostegno.
     Il frutto, il latte, e ’l mel fu il cibo loro,
     Ne contra gli animali armar lo sdegno.
     La lepre per li campi era sicura,
     Ne de l’humana rabbia havea paura.

I vaghi augelli allhor liberamente
     Per l’aere innanzi à l’huom batter le penne;
     E ’l pesce per la sua credula mente
     Sospeso à l’hamo il pescator non tenne;
     Che l’huom non havea anchor macchiato il dente
     Di sangue, onde dapoi si crudo venne.
     Anzi era, essendo ogn’un senza timore,
     Un mondo pien di pace, e pien d’amore.

Qual poi fosse l’auttor di quella etate,
     C’hebbe al vitto de l’huom si grato invidia,
     Scacciò da l’huom la sua natia pietate,
     E diè luogo à la nostra empia perfidia,
     E fe, che l’huom con ogni crudeltate
     La forza in opra à por venne, e l’ insidia.
     E crudele, e tiranno il ferro strinse.
     E nel sangue ferin macchiollo, e tinse.

Ne sol la lepre, e ’l caprio fuggitivo
     Uccise, ma ogni belva ardita, e forte.
     E senza punto haver lor carni à schivo,
     Vivande ne fe far di varia sorte.
     Tanto che ’l loro humor troppo, e nocivo
     Oprò, ch’à l’huom s’accelerò la morte.
     Che quindi nacquer gl’ infiniti mali,
     Ch’accortano le vite de’ mortali.