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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/530

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E ’l fiume Anigro in Grecia già non corse
     Con l’onde dolci al mar purgato, e chiaro?
     E poi che fra Centauri, e Alcide occorse
     Guerra, non è ogn’ hor corso, e corre amaro?
     Feriti andar tutti i Centauri à porse
     In quel limpido fiume, e si lavaro.
     E se gliè ver quel, che i Poeti han scritto,
     Le freccie le ’nfettar d’ Hercole invitto.

Dolce cinque giornate in Scithia Hipano
     Con util generale al mar discende;
     Poi si fa d’un sapor salato, e strano,
     E inutil molte miglia al ber si rende.
     Molto da terra Faro era lontano,
     Et hor per terra ferma vi s’ascende.
     Cinse anche Antissa, e Tiro il mare, e ’l flutto,
     Et hoggi ogn’un vi và co’l piede asciutto.

Con terra ferma Leuca era congiunta,
     Hor d’ogn’intorno il mar la cinge, e bagna.
     Messina, che si vede esser disgiunta
     Da la feconda Italica campagna,
     Unita soleva essere à la punta
     Di Reggio; et hora il mar, che la scompagna,
     Ha il corso, ov’era terra. E cosi occorre,
     Ch’un luogo stassi hor terra ferma, hor corre.

E se tu cercherai d’ Helice, e Bura
     De le Figlie d’Ion mirabile opra,
     Troverai, che l’ instabile Natura
     Vuol, che ’l cresciuto mar l’asconda, e copra.
     E le torri mostrar suole, e le mura
     Ogni nochier, che ’l mar vi varca sopra.
     E cosi avien, ch’un cerchio stesso serra
     Hora il mar nel suo grembo, hora la terra.

Appresso di Pitteia alto s’estolle
     (Cosa da raccontare horrenda, e strana)
     Senz’arbore nissun, ritondo un colle,
     E già fu terra spatiosa, e piana.
     La Dea la fè, che dà le forme, e tolle,
     Gonfiarsi contra ogni credenza humana;
     E fè, ch’un mezzo globo alto divenne,
     E ’l modo occulto io vi vò dir, che tenne.

Nel pian Pitteo le sotterranee strade
     Gran vento havean ne la lor parte interna,
     Il quale amico de la libertade
     Bramava à l’aria uscir chiara, e superna:
     Hor mentre il suo desio gli persuade,
     Che si sprigioni fuor de la caverna,
     La Natura al terren, che duro, e basso
     Si stia, consiglia, e chiuda al vento il passo.

Tanto che ’l vento al soffio apre le labbia,
     E d’aprirsi la strada s’affatica;
     E ’l terren, che non vuol, ch’ esca di gabbia,
     Stà duro à l’ insolente aura nemica.
     Sforza il vento la terra, e fa, ch’ell’habbia
     Gonfiato il ventre, come una vessica:
     E mentre ella il suo cuoio non apre, e fende,
     À guisa d’un pallon si gonfia, e tende.

Hor mentre la Natura il vento accese
     À fuggir fuor del regno d’Acheronte,
     E fece, che la terra gliel contese,
     Al pian Pitteo fè trasformar la fronte.
     Ch’un globo vi formò, che tanto ascese,
     Che ’l loco si cangiò di piano in monte;
     Tal ch’anche il monte, e ’l pian si rinovella:
     E per tal variar Natura è bella.

L’acqua (chi ’l crederia?) rest’acqua, e prende,
     Sendo acqua, altra apparenza, et altro stato.
     L’Africa ha un fonte, e mentre il Sol risplende
     Nel mezzo giorno, è freddo, anzi gelato;
     E, quando il Sole in oriente ascende,
     Ó muore in occidente, è temperato.
     Bolle di mezza notte, e à poco à poco
     Si cangià hor verso il ghiaccio, hor verso il foco.

Un’altra Epiro n’ha detta Atamante,
     Chementre cresce, et ha le corna nove
     La Luna, accende un legno in un’ instante,
     Come ivi il foco, e non la fonte trove.
     Hanno i Ciconi un fiume più importante,
     Che fa per l’huom più perigliose prove;
     Ch’à chi ne bee, le parti ascose impetra,
     E cangia ciò, che tocca, in dura pietra.