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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/538

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Scrive una lettra subito al Senato,
     Là dove fede i sacerdoti fanno,
     Che portan gran periglio de lo Stato,
     Se co’l trionfo in Roma essi ne vanno.
     E che s’aman saper la sorte, e ’l fato,
     Per poter provedere al comun danno,
     Il Senato ver lui prenda la strada,
     Poi che ’l fato non vuol, che dentro ei vada.

L’ordine senatorio sbigottito
     Da Cippo, e da gli haruspici Toscani;
     Ogni luogo importante ben munito,
     Vi pon per guardia i militi Romani.
     Per saper prender poi miglior partito
     Brama, che più distintamente spiani
     Cippo quel, che l’augurio, e ’l fato ha detto,
     E gir molti à trovarlo à questo effetto.

Prima d’ostro, d’acciar, di gemme, e d’oro
     Cippo, qual Duce, vincitor s’adorna;
     Asconde poi co’l sempre verde alloro
     Al capo suo le mostruose corna.
     Poi dove del Senato il grave choro,
     Per udirlo parlar, siede, e soggiorna.
     Si mostra sopra un’ alto tribunale,
     E con questo parlar chiede il suo male.

Un’ huom fra questa nobiltà si trova,
     Che se ’l fato, e l’ augurio à noi non mente,
     Deve introdur legge odiosa, e nova,
     E farsi Re de la Romana gente.
     Questo per fermo il sacerdote approva,
     Per un segno, ch’egli ha troppo evidente.
     Il segno io ben nominerò, non lui,
     À fin ch’al resto provediate vui.

Son due corna nel capo il fatal segno,
     E se chi l’have in Roma, entra per sorte,
     Il fato vuol, che tiranneggi il regno,
     E stava à lui d’entrar dentro à le porte:
     Ma in dietro io ’l tenni, io gli guastai il disegno.
     Dunque Signori, ò date à lui la morte,
     Ó scacciate il fatal da voi tiranno,
     Tanto che si proveda al comun danno.

Come al soffiar di Borea, ò Subsolano
     Mormora entro à la selva il faggio, e’l pino;
     Come mormora il mar, quando un lontano,
     Mentre è fortuna, il flutto ode marino:
     Cosi bisbiglia il buon popol Romano,
     Chi sia colui, ch’è nato à tal destino.
     Grande à l’accusator prometton merto,
     E ’l capo à ogn’un mostrar fanno scoperto.

Per dimostrare allhora in ogni parte
     Il Generale il cor puro, et intero,
     La corona d’allhor posta in disparte,
     Mostra de le due corna il capo altero.
     Dispiacque à tutto il buon popol di Marte,
     Veder quel meritevol cavaliero,
     Le tempie di quel segno havere ornate,
     Ch’à Roma tor dovea la libertate.

Contra sua volontà vide il Senato,
     E la plebe, et ogn’un, ch’era presente,
     Quel meritevol capo essere armato
     Del corno infausto à la Latina gente.
     Di novo à lui d’alloro il capo ornato,
     E date gratie à la sua buona mente,
     Pregarlo à star cosi fuor de le mura,
     Che in Roma prenderian del tutto cura.

Per satisfare al fato, et à la fede
     Di Cippo, e salvar Roma dal tiranno,
     Voller, che Cippo havesse per mercede
     D’haver fatto palese un tanto danno,
     Tanto di quel, che ’l publico possiede,
     Terren, quanto in un dì cerchiar potranno
     Due buoi, con fin, che co’l suo frutto poi
     Possa menare in bando i giorni suoi.

E perche ’l fato non mentisse, in quanto
     Volea, che in Roma dovesse portare
     Un, c’havesse le corna, il regio manto,
     Di Cippo il capo fer di bronzo fare:
     E su la porta il fer co’l rito santo
     Por, per la qual dovea pur dianzi entrare.
     E cosi assicuraro il lor domino,
     E profetare il ver fero al destino.