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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/84

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Vede intanto l’irata cacciatrice,
     Ch’à venir la vendetta non soggiorna,
     Ch’à lui già crescon sopra la cervice,
     Di cervo à poco à poco un par di corna.
     Il naso entra nel viso, e la narice
     Resta aperta più sotto, e ’l mento torna
     Dentro in se stesso, e in modo vi sì serra,
     Che la bocca vien muso, e guarda in terra.

Quello aspetto sì vago, e sì giocondo,
     D’animal brutto nova forma prende,
     S’allunga il collo, e dove egli era tondo,
     Diventa piatto, e per lo taglio pende.
     Se di peli ei fu già purgato, e mondo,
     Hor novo pel tutto macchiato il rende.
     Da quattro piè quel corpo hor vien sospeso,
     Che già dava à due piè soverchio peso.

Quel subito timor, quella paura,
     Che suol ne i cervi stare, à lui s’aggiunge,
     E vedendo ogni Ninfa già sicura,
     Che forte il grida, e minaciando il punge,
     Dove la selva è più frondosa, e scura,
     Fuggendo và da lor, più che può lunge.
     Si marviglia ei, che non sà l’ intero
     De l’esser suo, di correr sì leggiero.

Mentre il paese via correndo sgombra,
     Dal corso un’acqua limpida l’arresta,
     Ma come scorge ne la sua nova ombra,
     Le nove corna, e la cangiata testa,
     Si tira adietro attonito, e s’adombra,
     E sì questo l’affligge, ange, e molesta,
     Che vi torna più volte, e vi si specchia,
     E non può ritrovar l’ombra sua vecchia.

Mentre il meschin, misero me dir vole,
     Queste son ombre vere, ò pur son finte?
     Trova, che più non può formar parole
     Di più sillabe unite, over distinte.
     Gemere è ’l suo parlar, come far sole
     Il cervo, e le novelle luci vinte
     Dal duolo interior, stillan di fuore
     Per lo volto non suo novo liquore.

L’antica mente sol di lui riserba,
     Hor che farà l’afflitto trasformato ?
     Rivedrà la sua regia alta, e superba,
     Tra suoi regij parenti in quello stato ?
     Ó quivi pascerà le ghiande, e l’herba,
     Fra mille dubbij, e morti impregionato?
     Misero lui, ne quel, ne questo agogna,
     Questo il timor non vuol, quel la vergogna.

Mentre fra se col non perduto ingegno
     Trovar pensa al suo mal pur qualche scampo.
     Fù sentito da i cani, e ne dier segno
     Col solito latrar Tero, e Melampo.
     Fà, vinto dal timor, tosto ei disegno
     D’uscir del bosco in ben’ aperto campo,
     Che sì leggier si sente esser nel corso,
     Che non pensa trovar miglior soccorso.

Pensa forse avanzar tanto nel piano,
     Che i can debbian di lui perder la vista,
     E poi salvarsi in Ermo più lontano,
     Così perdendo il bosco, ò il campo acquista,
     Ma gli uscirà questo disegno vano,
     Che già del folto esce una turba, mista
     Di cani, di cavalli, e cacciatori,
     Empiendo il ciel di strida, e di romori.

Acquista il cervo per quella campagna,
     E mostra haver la gamba più leggiera,
     I veltri, Turchi, d’ltalia, e di Spagna,
     Son men discosto à la cacciata fera.
     Di Corsica i can grossi, e di Bertagna
     Fan dopo i veltri una più grossa schiera,
     Son quei, che ’l sentir pria più lungi, e stanchi
     I bracchi de la Marca, e i livrier Franchi.

Scorre il veloce cervo, e valli, e monti,
     E salta fossi, e macchie, e passa via,
     Per linea retta i can veloci, e pronti
     Gli corron sempre à traversar la via.
     Il passar spesso di fossi, e di ponti
     Tien molto à dietro la cavalleria,
     Gli equestri cacciator non son sì presso,
     Perche impedita è lor la via più spesso.