Pagina:Panizza - Processi contro le streghe nel trentino, 1888.djvu/10

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buire all’opera diretta od indiretta di cotesti spiriti dei portenti, non è però meno vero, che passa una sostanziale differenza tra magia e stregheria, come vedremo tantosto, e che per ragionare giusto di quest’ultima, non bisogna mai confonderla con la prima, giacchè con essa ha solo qualche parziale contatto, ma non identità, e non istà colla medesima in relazione di dipendenza o di discendenza. — La stregheria si avrebbe potuta sviluppare e svolgere nelle sue parti essenziali senza che fosse esistita punto nè la mitologia nè la superstizione classica. — L’antichità greco- romana, infatti, non conosceva nella sua mitologia i due “principî del bene e del male,„ l’uno in opposizione continua e necessaria coll’altro, la quale premessa è necessaria alla teorica della stregheria. Poichè questa ha il suo substrato nella lotta del “diavolo„ contro i fedeli di Dio per trarli seco a dannazione. Nè l’antichità classica poteva conoscere il “diavolo,„ od angelo rubello precipitato nell’inferno, nè gli dêi dell’inferno pagano sono a confondersi coi “diavoli,„ nè l’inferno della gentilità somiglia punto a quello dei cristiani.1 — Aggiungasi, che la classica mitologia non ammette la diretta comunicazione de-

    rone, Seneca, Plinio, Tacito e molti altri, pure osservando, che allora, come forse anche ora, nessuno era immune da qualche credenza o pratica superstiziosa. Non mi so trattenere, per il resto, dal riportare qui alcuni versi di Ennio, conservatici da Cicerone (De divinat. I. 58), che potrebbero da taluno ricordarsi utilmente anche a’ giorni nostri. Parlando degli indovini dice:

    Non enim sunt ii scientia aut arte divini,
    Sed superstitiori vates, impudentesque harioli,
    Aut inertes, aut insani, aut quibus egestas imperat.
    Qui sibi semitam non sapiunt alteri monstrant viam,
    Quibus divitias pollicentur ab iis drachmam petunt.
    De his divitiis sibi deducant drachmam, reddant cætera.

  1. Veggasi per l’inferno ed i suoi déi Virg. Eneid. VI. 266 od altri. — Una pittura satirica del medesimo si ha nel “Menippo„ di Luciano. In quale concetto stessero l’inferno pagano e le pene che vi soffrivano certi eroi presso gli uomini di senno e colti, si può imparare da Lucrezio (De rer. nat. L. III. 976 e seg.).