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Lo prese con delicatezza, come fosse stata una macchina infernale, diabolica.

— Un chilo e mezzo deve pesare!

Era il cappello della signora.

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*  *

Alle ore undici, nel Grande Hôtel, il prof. Gian Franco Marchi parlava ancora con la signora Giraldi. La signora si veniva riallacciando l’abito con mano tremante. Era una cosa terribilmente piena di mortificazione per la signora: quell’uomo, il prof. Marchi, gelido, meccanico, irreprensibile nel vestito, aveva esercitato su di lei un’impressione di paura, di soggezione e di ammirazione insieme. Eppure quell’uomo aveva parlato sempre con una voce soavissima, musicale, con un bellissimo accento italiano: appena, appena una sfumatura di amabile ironia. Aveva trattato con la verecondia di un asceta, con la delicatezza di una suora di carità. Oh, nulla di brutale, come certi medici; e nulla nemmeno di manierato, di dolcificato come altri medici alla moda. La signora Giraldi ne aveva fatti passare ormai parecchi di medici, e invano! Ma era quella specie di gelidezza interiore ad ogni influsso di passione, che la soggiogava.

La signora, nei preliminari della visita, aveva cercato, come soleva, di celiare un po’. Bella donna, elegante, donna di spirito, poteva conce-