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162 Diario sentimentale

sigari. Parlò della eccellenza del vino sopra ogni altra bevanda: e del suo vino in ispecie. — E lo vuole dolce o brusco?

Intanto una sua figliuola, del tipo ancor sèmplice dell’illustre Lucia Mondella, stese un tovagliolino di puro bucato; un’altra figliuola, di tipo spiccatamente idem, e silenziosa idem, portò piatto e posate.

Ma loquace era il padre.

— E l’orghen de Bagg l’ha vist? Però lo avrà sentito nominare l’organo di Baggio! Un orghen che l’ha ventiquater moviment. Ci vuole un maestrone, ghe voeur un maestròn a sonàll.

Poi mi parlò della sua osteria. — A chi viene con intenzioni oneste — diceva —, di bere un bicchiere di vino sincero, egli fa buona cera; ma a chi viene per far bordello, o amorazzi, egli fa sùbito cera brutta. Ha figliuole da marito, lui!

Così mentre parlavamo, una delle Lucie silenziose mi portò la terrina della minestra cont i rann.

In verità, squisita; ed il riso era cotto così appuntino che anche dal modo di cuocere una vivanda si può desumere la storia di un popolo.

Ma poi che accadde?

Togliendo col mestolo, vennero su, caddero nel piatto certi organismi bianchi, disfatti, con certi ossicini tra la polpa: le rane. Organismi tagliuzzati, recisi.