Pagina:Panzini - Diario sentimentale della guerra, 1923.djvu/436

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Rimontarono nell’aufò, mentre la schiera grìgia degli operai usciva dalle porte dell’officina, pari un rigùrgito di umanità.

— Dovete aver guerre anche qui — disse Pitagora.

— Infatti, signor Pitagora. È eoa. E da che lo indovina?

— Dalla fissità tenebrosa che vedo nei volti di quelli uomini neri.

— Non sono mai contenti! Ho persino fondato per essi una sala di lettura con buoni libri.

— Libri? — esclamò Pitagora — per che fare, i libri?

— Per istruire il pòpolo.

— Caro ospite — disse Pitagora — i sacerdoti dell’Egitto facevano l’opposto. La maggior cura di questa casta ieratica era di conservare nelle moltitudini un misterioso terrore. Per tale modo l’Egitto godette millenni di pace, tanto è vero che ve ne è ignota la storia. In Atene, invece, e nella Magna Grecia, la guerra divampò furibonda per colpa di un implacabile tiranno.

— E si chiamava?

— Democrazia! Ma quale pretese avete, caro ospite, che quelli operai, dopo il terremoto di quelle macchine, si méttano a meditare sui libri?