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88 | Diario sentimentale |
fatte cadere cento. Lo pregai di desistere col pretesto delle donne. Se ne ebbe a male.
«Ma come? esse vengono dal mare, per un momento domandano ospitalità alla tua casa e tu — cioè io — le fai uccidere?»
Questo ragionamento era romantico; ma vi sono sensazioni che non si possono vincere.
Mi accostai alla casa: qualche centinaio di rondini, l’una presso dell’altra, fitte fitte, rigano di nero e di bianco il cornicione, sotto la gronda scrosciante: tutte le mensole, tutti gli scuri, ogni sporgenza aveva quel vivo ornamento. Ed ecco dal lato opposto ove io era, rintronò un colpo. Non il fabbro, ma il contadino. I bimbi del contadino, fra cui era Titì, raccoglievano allegramente rondini morte, rondini ferite.
La rondine ferita fra le mani di Titì: testolina tonda tonda, qualcosa di puro, di aereo; zampine lievemente rosee, che mai non toccarono l’infame terra! Non ci sono più le rondini. Hanno ripreso tutte il loro volo.
— La rondine ferita, Titì, non mangerà pane!
Si trascina in un angolo oscuro per morire. Le altre già volano verso l’oriente.
La sera è tetra. All’osteria, il fabbro, davanti al suo litro, mi dice che se gli avessi lasciato sparare, lui avrebbe ora la cena. Ora ha bevuto, beve e non ascolta obbiezioni: «L’uomo — dice — ha diritto su tutti, uccide tutti: necessità non ha leg-