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il bacio di lesbia 133

Un giorno che il grande oratore non ne poteva più, disse a Catone:

— Ma come devo fare con Terenzia?

— Fa come ho fatto io con Màrzia mia.

— Come hai fatto tu con Màrzia tua?

E Catone rispose:

Il mio amico Ortensio desiderava avere discendenza, e io sapendo che Màrzia era buona produttrice, gliela ho ceduta per qualche tempo.

Cicerone si passò la mano su la fronte, dolorosamente.

— Tu caro amico —, diceva Catone —, sei avvolto nell’omento bianco del sentimento. Ciò va bene per i fegatini di porco su lo spiedo.

E realmente Cicerone era un’anima sensibile, e il fascino per Clodia non gli toglieva di amare Terenzia; e quel duro uomo di Catone andava dicendo in Senato che Marco Tullio voleva divorziare da Terenzia, e poi Clodia avrebbe divorziato dal buon Metello, e Clodia e Cicerone si sarebbero sposati.

Tutte ciarle senza fondamento: ma si sa: anche nel Senato romano non sempre si parlava o di Brenno o di Pirro, o di Annibaie.

C’erano poi di mezzo i figliuoli!

Il figliuolo Marco era andato a studiare, o per dir meglio, il babbo lo aveva mandato all’Università di Atene dandogli per viatico il libro dei Doveri che comincia: «quamquam tu,