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Pagina:Panzini - Il bacio di Lesbia.djvu/15

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il bacio di lesbia 13

del Trasimeno, di Canne, non bastò l’onda del Metauro, non il Nilo, dalle sette foci: alla vendetta non bastò la rovina fumante della città di Didone. Cadde Corinto. Cadde Numanzia. Crollò l’impero di re Alessandro. Quello che era stato l’impero di Alessandro trapassò in Roma. L’oro vi si riversò. I Romani si trovarono immersi in un mare d’oro: vi galleggiavano statue, monili, preziose bellezze, piú care dell’oro. E anche qui riappare il misterioso Virgilio quando dice: «A quali delitti tu non costringi i mortali, o sete orrenda dell’oro?»


A manovrare quell’oro, accorsero in Roma scribi e farisei: hanno corteo di gabellieri, dazieri, imprenditori, appaltatori, esattori. Si chiamano publicani, si chiamano cavalieri, diventano senatori: Fabrizio, Cincinnato, Decii, Fabii, van scomparendo. Il campicello di Cincinnato, chiamato al potere supremo dall’aratro e dal rastro, si ammalò e morí. O, console che da la chioma scomposta fosti chiamato, ecco gli unguentarii a profumare e lisciare i capelli ai nepoti di Romolo!

Dovunque Roma guarda, piú non vede nemici: dalla Fenicia alle Colonne d’Ercole il mare dei popoli è diventato mare romano.

In quelle guerre puniche molta cittadinanza romana si era spenta, nuove genti e costumi