Pagina:Panzini - Il bacio di Lesbia.djvu/28

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Stato». Ecco quello che Orazio scriveva in quella sua odicina. E aveva detto a Fíllide, una graziosa servetta campagnola, di intrecciare corone di fiori, fare focacce con miele e rosmarino, arrostire un caprettino. Dispose alcune anfore di buon vino di sua produzione; e Mecenate, benché gran signore, e che sapeva mantenere le distanze, benché discendente dagli antichi re etruschi, benché consigliere di Augusto, aveva, nel caso speciale di un poeta come Orazio, superato anche le distanze fra Roma e Mandela, dove lí presso era la bella villa di Orazio. Avevano trascorso una giornata di vacanza in onesta allegria.

— Ah, non sapevate voi, celibe, che cosa fare alle calende di marzo? — continuò Augusto —. Ve lo dirò io che cosa dovevate fare: prendere moglie.

Questa intromissione nel tabernacolo della sua coscienza, Orazio non la avrebbe tollerata sotto Bruto, e gli convenne tollerare sotto Augusto.

— Non mi meraviglio di voi, — continuava Augusto; — ben mi meraviglio di Mecenate! Questi obesi etruschi seguitano a ridere anche sopra le tombe. Ebbene, beviamo papàliter!, — avete detto —, e vi siete ubbriacati come bertucce tutti e due; e allora avete visto tutto bello, tutto felice, tutto color di rosa: i Daci,