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Con questo ragionamento nella testa, Beatus era entrato senza avvedersene nel giardino della città — che lì chiamano villa — deserto in quell’ora, e pieno soltanto di ombre e di fiori.
Dal giardino si vedeva, in lontananza, a metà della costa di un monte verde, un monastero come un castello ariostesco su cui batteva il sole nascente.
Un gran silenzio! Ma Beatus Renatus si fermò e lisciando con la mano i baffi biondicci, non ineleganti, pareva stare in ascolto. Sentiva quello che non si sentiva: i cannoni folli che da quattro anni urlavano per abbattere l’ultimo pupo folle con Dio e la corona: l’imperatore Guglielmo di Germania.
«Io ricordo, ma anche ricordando — disse — non capisco.»
E riguardò ancora il monastero dove vivono coloro che non ne capiscono niente. E buttano via il loro nome!