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il romanzo della guerra 117

arrivederci — se ti rivedremo — un altro anno! Queste cose celesti esistono, certamente, anche sopra Milano; anzi in piazza del Duomo c’è un omarino col canocchiale che le fa vedere più da vicino per mezza lira. Ma è altra cosa. Mi avviene di trovare quasi naturale la domanda di Titì: «La luna che c’è a Milano, è come quella che c’è a Bellaria?»

Guardo il contadino che dissoda con la vanga il terreno: il contadino che semina la fava da seppellire come ingrasso di questa sterile arena, quando la primavera verrà. L’inverno parla della primavera mercè la mirabile alternativa delle opere. Giorni ed Opere di Esiodo! Anche me, in città, attende un lavoro nobile come il vostro, o contadini: dissodare anime, alimentare sterili cuori. Ma se ne ricava poco; e la colpa non è soltanto delle giovani anime!

Alcuni pescatori allestiscono con ogni cura la loro tartana e la riforniscono di ogni provvisione. Andranno alle deserte bocche del Po, lontani da ogni consorzio umano, da ogni voce umana, a pescare anguille. Vi rimarranno fin sotto Natale. Quanta invidia!

Addio, dunque, stelle dell’Orsa, carro di Boote, animato alfabeto del cielo!

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Bologna, 27 settembre. Sotto il Pavaglione incontro l’amico, prof. X***, compagno di Università.