Pagina:Panzini - La cagna nera.djvu/142

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placarmi lo spirito e i sensi di una serenità melanconica e stupida.

Poco lungi, fra gli alberi, sorgeva un’altra casetta dalla cui porta pendeva un frasca. Mi vi recai ed ebbi da rifocillarmi. Poi feci ritorno presso la siepe dove io era prima; e fosse effetto del caldo o della piacevolezza dell’ombra che la chioma di un albero stampava sul terreno, fatto è che mi addormentai.

Quando mi risentii, l’ombra dell’albero avea girato ed il sole battendomi sul volto, mi avea desto. Il sole, oltrepassata più che la metà del suo corso, pareva essere fermato nel cielo.

La lucentezza dell’aria mattutina avea dato luogo ad un’afosità di vapori che toglievano ogni trasparenza e veduta delle cose lontane.

Il silenzio era solenne. E allora, in quello stupore che coglie chi si desta da un grave sonno, fu un suono che da prima mi parve come un pispiglio di uno stormo di passere: tacque e ripigliò più saltellante e vivace.

Erano risa di donne.

Volsi lo sguardo al rumore: vidi e non compresi alla prima; poi compresi e un turbamento profondo mi agitò il sangue come nel brivido