Pagina:Panzini - Lepida et tristia.djvu/113

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dalla padella nella brace 35


— Eh, non so, — disse il giovane — ne hanno ammazzato uno la settimana scorsa e fa il terzo: mi devono incontrare a me, mi devono! — e digrignava i denti.

L’ostessa che s’accorse del pallore della mia compagna disse: — Ma qui in casa mia è sicura, sa?

— Ma è domani — scoppiò lei a dire — che dobbiamo riprendere il viaggio per tornare a casa!

— Stan di molto lontano?

— In Romagna!

— Corbezzoli! il viaggio dell’orto!

E la guida avea smesso del tutto di mangiare e si grattava la testa.

— E dove bazzicano questi malandrini? — chiesi io al giovane.

— Un po’ da per tutto: sul Fumaiolo, alla Cella.... Vivono come le bestie selvatiche.

— Dove siamo passati noi....! — rabbrividì la mia compagna. — Ma i carabinieri non dànno loro la caccia?

— Ma già — dissi anch’io — cosa stanno a fare i carabinieri?

Il giovane sorrise come uno che la sa lunga, e disse:

— Sentano bene: io sono guardia caccia dei principi di *** (e nominò una gran famiglia romana) e ogni inverno vado a una loro tenuta di Maremma: ho conosciuto il Tiburzi e il brigante Fioravanti come conosco loro: bene, sentano: i carabinieri i briganti non li prendono.

Io protestai:

— Ma se nei giornali si leggono dei fatti coraggiosissimi in cui i carabinieri....

— Tutte fole — disse il mio interlocutore con un sorriso di sicurezza assoluta. — Sa lei quando i carabinieri prendono o uccidono un brigante? Quando per combinazione ci vanno a batter contro col muso.

— Ma non li vanno a cercare? non li stanano?

— Che dite! La pelle preme a tutti. Non sa lei che