Pagina:Panzini - Lepida et tristia.djvu/116

Da Wikisource.
38 dalla padella nella brace

suoni più lievi acquistano un carattere paurosamente sonoro.

La mia compagna rabbrividì:

— Ecco i briganti, ci siamo — e mi si attaccò ad un braccio. Poco dopo fu battuto contro la porta di strada col calcio del fucile.

— Ma no, signorina, — disse il giovane — o non ha inteso che sono i carabinieri? — e si affacciò alla finestra con un: — Siete voi? ora vi vengo ad aprire.

Ma si ritirò facendo un gesto di malcontento che non prometteva niente di buono.

— C’è quell’imbecille di Villotti; avevo già capita la voce! — disse a’ suoi, e scese ad aprire.

Io voleva domandarne il padre, ma egli si era fatto già contro la porta.

Sentimmo levare i catenacci, barattare un saluto, poi due passi gravi, accompagnati dal tintinnar cupo delle armi, montarono le scale e apparvero i due carabinieri.

— Buona sera, ragazzi! — disse la donna.

— Buona sera a voi, e alla compagnia — aggiunsero vedendo noi.

Deposero i due fucili presso la porta con un «auf!» di sollievo, si stirarono le braccia e si accostarono al camino.

— Cara la mia Ceccona — disse l’uno dei militi andando appresso all’ostessa quasi da abbracciarla — hai una bottiglia proprio di quello fino che fa venir giù le lagrime dalla commozione? Sta attenta: questa te la pago io coi miei soldi, e se invece non me la dai, non ti faccio il buono per il sindaco di Verghereto, hai capito?

— Io — disse l’ostessa — ho questo qui da darti — e gli levava un bastone della fascina, contro il viso.

— Oh, come sei cattiva, Ceccona, questa sera! Si vede che Beppe non ti ha fatto buona compagnia stanotte.

— Gli è, vedi, Villotti — disse il figliuolo dell’oste