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112 il linguaggio delle pietre e dei pesci


La domenica era di rigore andare alla Messa, tutti, grandi e piccoli: nel tempio c’era il banco col nome della famiglia. Dopo messa, se era buon tempo, si facevano due passi: mi ricordo la nonna, magra, rigida, solenne, col gran scialle vivace di finissima indiana sulle spalle e il boa a gran giri. Per noi bambini quella passeggiata era un martirio. Guai non andare composti! La compostezza! e la nonna ce lo faceva capire con certe occhiate di sbieco che in casa si mutavano talvolta in solenni rabbuffi. «I figli dei signori — diceva — devono dare l’esempio della compostezza e del decoro in tutto!» Anche questo era un suo assioma. Dopo la passeggiata veniva il pranzo, a cui non mancava una certa solennità. Qui la nonna era molto larga e accondiscendente: dopo la minestra capiva che noi non potevamo più star buoni a tavola e che quel terribile «composti» doveva soggiacere a leggi inesorabili di vivacità infantile. Allora ci faceva distribuire i dolci e la frutta e ci licenziava. Bisognava però prima dire prosit e fare il segno della croce. Solo molti anni più tardi capii il senso etimologico di quella parola prosit, che vuol dire: «ti giovi!» Oh, buon augurio latino, esso non ha giovato a te, nonna, come non ha giovato a noi, come non ha giovato alla casa! E così non ha giovato la pietà, o nonna, e la compostezza che tu ci insegnasti! Non ha giovato e non gioverà.

Era anche per questo pensiero che io lagrimavo di sincere lagrime contemplando la casa degli avi.

La gente rara che passava, mi fissava come uno straniero che contempli le eroiche mine melanconiche del tempio vicino. Ed io era nato lì, in quella casa!

Mentre io contemplavo, entrò pel portone una fila di bimbi in abito festivo, con aranci, frasche di alloro e ciambelle in mano: dietro venivano i parenti. Certo erano i nuovi padroni della casa. Vita che rigermogliava! Passarono per il cancello dove io mi pencolava da fan-