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Pagina:Panzini - Lepida et tristia.djvu/199

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antidotum impietatis 121


La luna copriva la valle di grandi ombre e di gran luce quando i cavalieri furono di ritorno al castello. I cavalli grondavano schiuma e sudore; gli uomini asimavano dalla corsa, ma il cieco non l’aveano preso, nè pastore nè viandante lo avea visto passare.

E messer Anastagio ne fu grandemente turbato.

Quando messer Anastagio dopo alcun tempo fece per andare a letto, scorse nel mezzo del cortile il can barbone che penzolava appiccato all’architrave del pozzo, così com’egli avea comandato, e l’ombra lugubre e grottesca della carogna si stampava sul selciato, battuto dalla luna.

Anche il barbone con le pupille fuor dell’orbita gli faceva il mal’occhio, e messer Anastagio avea paura del mal’occhio.

Pensò di farla buttar giù dagli spaldi del castello la mala bestia; ma il dì seguente l’avrebbe veduta ancora: e poi tutti i suoi a quell’ora dormivano.

Allora pensò di seppellir lui stesso la carogna nel fondo del sotterraneo e così non l’avrebbe più riveduta e tutto sarebbe finito sotto quattro palate di terra. Tagliò col pugnale la corda che reggeva il can barbone appiccato, e questo cadde prima sul ripiano del pozzo e poi sul terreno così sconciamente che messer Anastagio die un balzo indietro. Pareva viva la mala bestia!

Accese una torcia, prese il capo della corda e si trascinò dietro il cane appiccato.

Messer Anastagio scese dunque i gradini spingendo avanti la torcia. I gradini erano erti e viscidi dall’umi-