Pagina:Panzini - Lepida et tristia.djvu/209

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di un povero diavolo 131


Così mi disse il mio vicino di destra, un vecchio signore dalla cui persona traspariva una rendita per lo meno di cento mila lire, ma che mandava giù quelle cucchiaiate di brodo come fossero state decotto di rabarbaro. Aveva l’aspetto cachetico di chi soffre dell’apparato digestivo, e in quel suo complimento sulla mia salute d’acciaio, c’era questo pensiero: «Lei, evidentemente, povero diavolo, si permette il lusso di avere uno stomaco che digerisce bene; mentre io che potrei mantenere, non uno, ma cento stomachi, sento già il peso di questi due crostini di pane: ingiustizia sociale!»

Io avrei voluto, per il momento, assumere un volto scarno ed emaciato come il suo, e così confortarlo in omaggio all’ospitalità della casa, ma questo non mi era possibile, e però risposi:

— Grazie a Dio, signore, la salute non mi mancherebbe: ma è un capitale di cui non posso fare uso come vorrei.

— Verrà anche il resto, verrà: tutto dipende dal sapere attendere, — mi rispose quel signore.

— Verissimo, e grazie dell’augurio — dissi io, e pensai: «è molto che attendo e non viene nulla mai fuor che le note dei fornitori».

Intanto era entrato dalla porta della cucina, sostenuto a due mani dal cameriere, un piatto di forma piramidale che rivelava nel cuoco delle disposizioni architettoniche, degne di un palazzo-croccante di stile moderno.

Seguii il giro che faceva quella piramide e vide che andò a fermarsi di fianco alla signora di casa.

La signora di casa che stava parlando, la rimandò con un cenno impercettibile di rifiuto.

Quella piramide intelligente però capì subito e andò a inchinarsi al signore, quivi appresso, il quale vi immerse il cucchiaio che si sprofondò senza resistenza, e ne venne fuori un non so che di giallo, di crema, di