Pagina:Panzini - Lepida et tristia.djvu/233

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la seconda disillusione 155


Quel carrozzone era frattanto stato attaccato al treno della Romagna, il quale dopo molti avvisi di partenza, finalmente partì.

Uscito che fu dalla cappa ardente della stazione, i petti si sollevarono per respirare. L’aura ventilava dalle finestre aperte: e la rapida corsa faceva entrare nello scompartimento il profumo delle messi tagliate.

Lei. Quello che avanza, figlio, si può dare ai poveri...

Lui. Ma non avanza nulla, mamma...!

Lei. Ma tu sei insaziabile, figliuolo! Dammi dell’acqua di Colonia alle mani. (Sì, mamma). Puliscimi la bocca. (Sì, mamma). Accendimi una sigaretta. (Sì, mamma). Io sono quasi egiziana, signori — disse poi rivolgendosi ai compagni di viaggio — e le signore egiziane fumano, se loro permettono.

Lui. Allora ne piglio una anch’io, che sono egiziano come te.

Lei. Non ne hai l’abitudine, ed è inutile che te la faccia....

Lui. Hai ragione, mamma. Smetto, anzi non cominciò nè meno — e rivolto ai compagni di viaggio: — Vede, signorina, che giovane perfetto? non ho un vizio. Non fumerò benchè ne abbia voglia.

Cadeva il tramonto per il pian di Romagna, ardente, fiammeo; il treno correva, fra le rigogliose messi, verso la frigidezza del mare non lontano e verso le tenebre dell’oriente. La sera, imminente, raccoglieva e raffinava gli spiriti in un piacere di vivere. Allora un po’ per volta fu come rotto il ghiaccio, e la bellissima giovane donna incominciò a parlare al giovane straniero.

Il dialogo si accese, vibrò, scintillò. Bisognava vin-