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Pagina:Panzini - Lepida et tristia.djvu/241

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la seconda disillusione 163


La madre avea già veduto e le sue unghie si erano infisse sul dosso della mano del figliuolo.

— Guarda — sussurrò in modo quasi impercettibile — è spaventoso! — Egli guardò!

Due lugubri oggetti furono dal marito scoperti, tolti dalla reticella, offerti alla moglie mentre il treno frenava.

Erano due elegantissime stampelle.

Una fiamma di rossore salì alla fronte della giovane signora: ma lo sguardo non si abbassò. E quella fiamma disparve.

Disse allora la bellissima deforme: — Veda, signore, che la sventura più grave per una donna può colpire talvolta fuori delle umane previsioni.

Questa volta fu il giovane ad arrossire e potè balbettare a pena: — Se avessi sospettato, signora....

Ella gli tese la sua bella mano in segno di pace e di perdono.

Il signore fattosi allo sportello, chiamava imperiosamente i facchini.

Madre e figlio videro la bella donna calare giù dai gradini alti, sostenuta dai facchini e poi lì, in mezzo alla folla elegante dei bagnanti, adattarsi le grucce sotto le ascelle.

Allora le grucce mossero il loro lugubre e rigido passo che suonò, ed il corpo si trascinò dietro inerte, bianco, lungo, come il corpo della biscia si trascina quando la falce lo ha troncato.

Scomparve senza voltarsi e, «presto, presto! si parte!» il treno ripigliò la forte corsa lungo il mare, anelando alle terre d’Oriente.

E questa fu la seconda disillusione del giovane straniero.