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186 divagazioni in bicicletta

colonne degli antichi templi, si diramano e si abbracciano in alto in forma di ombrelle. E fra i tronchi luceva in lontananza la linea cilestre del mare con una incomparabile dolcezza. Questa di Cervia è quanto ancora di più intatto rimane di quella selva litana famosa: «la divina foresta spessa e viva» dove Dante vide sorgere;

          una donna soletta che si già
cantando ed iscegliendo fior da fiore
ond’era pinta tutta la sua via.

Ora lustre occhieggiano le acque salmastre fra i pini, e la ninfea si apre e diffonde il suo melanconico profumo nel grande silenzio.

E sulla linea verde delle paludi grandeggia lontano un tempio e una torre tonda. Siamo a Sant’Apollinare in Classe. Quivi le navi di Roma imperiale, quivi le galere bizantine approdarono: triremi con vele di porpora recarono quivi i re del mondo: sonava l’opera de’ navalestri nel grande arsenale: sorgevano mirabili edifici. Oggi è il deserto: solo rimane questa mina di tempio. Pure davanti a questa ruina v’è una voce che dice: — Fermati, qui la voce dei secoli ti aspetta! Ho detto «deserto», ma la parola pecca manifestamente di esagerazione poetica: dietro S. Apollinare sorgono alcuni bassi e disadorni edifici recenti. Due alti camini gettano un largo nembo di fumo; e se la notte vedete alcune tenui e splendenti fiammelle, esse non sono le anime dei bizantini, degli ariani chiusi nelle immani arche marmoree del tempio: sono le lampadine elettriche e quell’edificio nuovo è una raffineria di zucchero di barbabietola.

Ebbene, ben venga la barbabietola, e cada a terra la selva dantesca; sorga l’officina operosa e fumante, e l’antica torre bizantina che gettò la luce del suo faro sulle acque del mare che già qui presso mormorava, frani in ruina. Pianga il cuore del poeta purchè rifio-