Pagina:Panzini - Novelle d'ambo i sessi.djvu/11

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a emilio treves vii

biera, argèntea, chiomata, mi ricordava gli ultimi romantici? o fors’anche per quella bara, in quel pomeriggio cinereo, coperta del dolce fiore della giovinezza? o fors’anche per un’insurrezione di fantasmi: Serra, giovane, morto combattente Slataper, giovane, morto combattente, D’Annunzio lungi, nel combattimento?

I nostri cavalieri d’Italia, signor Emilio; i nostri gentiluomini, sono essi sorti da questa, o negletta o oltraggiata, modesta borghesia italiana!

Ahimè, signor Emilio, le varie nostre plebi (e non d’Italia soltanto) hanno succhiato troppo latte alle molteplici mammelle del materialismo teutonico per potere sperare piena vittoria!

E si ricorda, signor Emilio, quel giorno, nel suo studio così ben riscaldato (l’Italia non era ancor entrata nel conflitto), che ella mi additava la Revue des Deux Mondes, ove erano elencate documento le prime atrocità teutoniche?

Il suo volto esprimeva — non so bene — se più terrore o stupore. Ricordo che io sorrisi. Effetto di buona filosofia, signor Emilio! Sostanzialmente lei stupiva come nel mondo potessero convivere tutti gli aggeggi del comfort e dell’elettricità — di cui era ricco il salotto — con sìmili orrori.

Sorrisi, perchè io mai riposi la mia fede nel comfort e nell’elettricità. Che cosa è la scienza, da sola? Anche atrocità.