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Avvertimenti agli infelici figli di Santippe 245

pareti scialbe; dispare, riappare con un ultimo guizzo sanguigno; poi incombono le tenebre freddo violacee; così l’imagine di lui, di Socrate, si sofferma ancora nella povera casa, balena, scompare.

Fra il ciarpame, in un angolo, stanno vecchie masserizie, che paiono avere quasi l’anima infranta; v’è anche una povera cuna. Quivi giacquero i figli di Socrate. Ed al mattino, quando il sole indorava la stanza, il sole scopriva i cari volti infantili: la dolce primavera, il cinguettìo dal nido ridesto al tepore del sole: «Ba.... ba.... babbo, pappas!» Salutavano gioiosamente lui che li aveva chiamati, non richiedenti, alla faticosa vita: — Pappas! Pappas, file pappas, bel papà!

Ma tu non le udisti le care voci, o Socrate, tu col tuo cupo demone nel