Pagina:Panzini - Trionfi di donna.djvu/223

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il trionfo della morale 219

dere come costui fosse arrivato sino alla conquista della donna, cioè di quel bene che, quando è bene, è il maggiore dei beni; o almeno permette all’uomo di sprezzare tutti gli altri beni: e donna bella, elegante, ricca, intelligente (per quello che dà il sesso) graziosa, accorta, decorativa in sommo grado, collaboratrice preziosissima della sua vita! A questa donna egli intanto ha saputo offrire il fascino di un nome autorevole e riverito come corrispettivo alla pecunia della dote, e col nome la dignità di rappresentarlo, di sostituirlo, di reggere una casa grande, bella, comoda, acquetando così la petulante irrequietezza muliebre in un cumulo di lavoro che ne assorbe e soddisfa la congenita vanità.

Io? Io se volessi permettermi il lusso di una donna non avrei da offrirle nemmeno un posto sulla mia bicicletta.

E mi ricordo che delle poche amanti che ebbi, se erano buone, intelligenti o pietose, erano — per così esprimermi — antifisiologiche: se erano belle e piacenti, erano stupide e vane come pàpere: se accennavano appena di possedere le due qualità della bellezza e del valore, mostravano così grandi pretese da togliermi ogni ardimento.

Ma è più probabile che io sia stato pessimo intenditore dì donne, e invece di accusare esse è meglio che accusi me. Di ogni merce conviene avere esperienza prima di giudicarne il valore e il mercato.