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106 | viàggio d’un pòvero letterato |
za sesso. Quale orrore! Una fanciulla nella età in cui gli àngeli fanno con le ali velo all’innocenza, trovarsi in così abbominèvole luogo!
— Sei sola?
— Ero con quegli uòmini che ora si allontànano laggiù. Ma ora sono sola.
— Vuoi, pìccola fanciulla, che ti riconduca a casa?
— Casa? Io non ho casa.
— Ma tuo padre? Tua madre?
— Padre? Madre? Non ne so nulla, signore.
— Ti guiderò allora all’asilo delle fanciulle perdute, benchè a quest’ora antelucana, gìrino per le vie le guàrdie dei buoni costumi, che fanno razzia delle creature immonde. Per la mia buona reputazione, fanciulla, procedi tuttavia discosta da me.
— Hai paura? — domandò la fanciulla. — Ma la città ora dorme; la gente non ti vede. Hai paura di venire vicino a me?
Non era più una voce infantile quella che l’uomo sàvio udiva: era una voce divenuta sicura e calma.
— Io vado avanti e tu procedi dopo di me, se tu hai paura.