Pagina:Parabosco, Girolamo – Novellieri minori del Cinquecento, 1912 – BEIC 1887777.djvu/49

Da Wikisource.

NOVELLA III

Un frate s’innamora d’una gentildonna e lo amor suo le richiede, ed ella a suo marito ogni cosa manifesta, ond’egli una vergogna solennissima gli apparecchia, della quale non solamente il frate si diffende con maravigliosa prontezza, ma grandissimo onore ne riporta.

In Arezzo, cittá della Toscana, fu giá un frate dal piede di legno, il quale, per essere predicatore, era chiamato maestro Stefano. Era costui di patria mantovano, ma si lungo tempo abitato in Arezzo, che da molti, anzi quasi da ciascuno, era creduto che fusse aretino. Essere poteva nella etá di trentaott’anni, omo di bello aspetto, e sopra modo audace ed eloquente, e forte innamorativo, come essere sogliono la maggior parte, come quelli (parlando de’ ribaldi) che ad altro non pensano che a caricarla a questo e a quell’altro, cosi privi sono d’amorevolezza e di caritá verso il prossimo. Ancoraché tuttodí si sentano sopra i pergami per le chiese e per le piazze predicare e gridare che si lascino stare le mogli altrui e che si facciano delle elemosine, accioché altri piú sicuramente lasci loro per le case conversare, e a loro, come a persone bisognose e piene di santitá, lasci le case, le ville e altre piu belle e care cose, privandone i parenti e spessissime volte anco i figliuoli; ond’essi meglio possano, ridendosi della gofferia di chiunque aumenta loro l’intrate, trionfare e arricchirne i mal nati e le disoneste madri. E non solamente non rifiutano cosa che si dia loro; ma, poco risguardo avendo al detto divino, che a loro, che professione fanno d’apostoli di Cristo, commette che non pensino al cibo che d’un giorno all’altro abbiano a mangiare, continoamente dimandano. E se per aventura confessino uno che si moia e illecitamente la robba del prossimo ritegna, gli fanno credere che meglio sia e piú sicuro per l’anima sua che