Pagina:Parini, Giuseppe – Poesie, Vol. I, 1929 – BEIC 1889888.djvu/105

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il piú possente infra gli dèi, il primo
di Citerea figliuo), ricever leggi,
350e dal minor german ricever leggi,
vile alunno, anzi servo? Or dunque Amore
non oserá fuor ch’una unica volta
ferire un’alma, come questo schifo
da me vorrebbe? E non potrò giammai,
355dappoi ch’io strinsi un laccio, anco slegarlo
a mio talento, e, qualor panni, un altro
stringerne ancora? E lascerò pur ch’egli
di suoi unguenti impeci a me i miei dardi,
perché men velenosi e men crudeli
360scendano ai petti? Or via, perché non togli
a me da le mie man quest’arco, e queste
armi da le mie spalle, e ignudo lasci,
quasi rifiuto degli dèi, Cupido?
Oh il bel viver che fia qualor tu solo
365regni in mio loco! Oh il bel vederti, lasso!
Studiarti a tórre dalle languid’alme
la stanchezza e ’l fastidio, e spander gelo
di foco in vece! Or, genitrice, intendi:
vaglio, e vo’ regnar solo. A tuo piacere
370tra noi parti l’impero, ond’io con teco
abbia omai pace, e in compagnia d’Imene
me non trovin mai piú le umane genti. —
Qui tacque Amore, e, minaccioso in atto,
parve all’idalia dea chieder risposta.
375Ella tenta placarlo, e pianti e preghi
sparge, ma invano; onde a’ due figli vòlta,
con questo dir pose al contender fine:
— Poiché nulla tra voi pace esser puote,
si dividano i regni. E perché l’uno
380sia dall’altro germano ognor disgiunto,
sieno tra voi diversi e ’l tempo e l’opra.
Tu, che di strali altero a fren non cedi,
Palme ferisci, e tutto il giorno impera;